A pochi giorni dalla Rivolta di Rosarno nel Gennaio 2010, un gruppo
di attivisti di diverse associazioni romane, incappa nei deportati di
rosarno che stazionano alla stazione di Roma Termini. Un gruppo di duecento africani,
che da qualche giorno vivevano nella capitale al freddo e abbandonati da
qualsiasi istituzione. La forza e la determinazione delle reti
associative, unita alla rabbia dei migranti forzati alla fuga dalla
Piana Calabrese, riescono con forza a denunciare le reali condizioni dei
migranti.
Provenienti per la stragrande maggioranza dai Paesi dell’Africa sub
sahariana in cui quotidiani conflitti li costringono a fuggire in
Europa. Oltre ad aver subito un grave trauma per lo sradicamento dal
paese natale e per un viaggio durato anni, hanno subito estorsioni e
arresti illegali in Libia prima di sbarcare in Italia. Sono arrivati tra
il 2006 e il 2009, prima che gli accordi col regime di Gheddafi
chiudessero la via del deserto con la pratica illegale dei respingimenti
di massa. Richiedono protezione internazionale, tutela e accoglienza
sistematicamente elusi dal governo italiano determinando per loro un
limbo dal quale è difficile uscire, fatto di clandestinità e
discriminazione.
Non sono
migranti economici, ma richiedenti asilo, soggetti vulnerabili che non
potranno mai partecipare ai provvedimenti previsti per legge di
emersione. Per questo lavorano nelle campagne, schiavi di un sistema che li rende invisibili e ricattabili.
L’esito delle mobilitazioni non tarderà e la lotta per garantire
diritti, cittadinanza e dignità terminerà con un risultato importante:
il Governo deciderà di accogliere le richieste delle associazioni e dei
migranti, con la concessione per duecento africani,
intercettati nel frattempo tra Roma, Rosarno e Caserta, fuggiti la
tragica notte del 9 gennaio dalla piccola cittadina Calabrese, di un permesso per Motivi Umanitari.
Ma ben presto ci renderemo conto che si tratta solo di una punta dell’immenso IceBerg. Cominciamo a renderci conto, dai racconti dei ragazzi, che una gran parte degli africani che lavora tra foggia e rosarno, come braccianti, quegli stessi che si sono ribellati contro lo sfruttamento, sono oltre 2000 e si trovano in una condizione di limbo giuridico: richiedenti asilo, denegati, in attesa di ricorso, figure inespellibili perché i paesi di provenienza(Costa D’Avorio, Mali, Guinea, Togo, Burkina Faso, Senegal, Niger, Nigeria, Gambia, Guinea-Bissau) sono comunque considerati a rischio, ma invisibili perchè senza titolo che abiliti un soggiorno sul T.N.. Gli africani infatti girano per le campagne del Meridione senza via d’uscita, senza possibilità alcuna di partecipare ai provvedimenti di emersione, senza possibilità di rientrare in patria.
Decidiamo quindi di attivare una campagna di denuncia e di inchiesta, costruendo le tappe di un percorso che ha attraversato tutto il sud nel corso del 2010 e del 2011,
assieme ad associazioni locali e con la collaborazione di alcune
istituzioni di prossimità tra le quali ricordiamo il CSAEXCANAPIFICIO
(Caserta) e il Consorzio Nazionale Comunità Accoglienza(PZ) e la coop
Stand Up (Roma), gli Scalabriniani(FG), la ReteRadici (RC), e con le
quali abbiamo attivato percorsi di monitoraggio e intervento nelle
Provincie di Foggia e Potenza nel periodo delle raccolta del pomodoro
(Guigno_Ottobre 2010) e nel periodo della raccolta degli agrumi
(ottobre_gennaio 2010 2011) sul territorio della Piana di Rosarno.
Dalla campagna SUD nasce così una vertenza concreta, che ha l’obiettivo di costruire percorsi di emersione dei braccianti africani che si trovano in Italia e sono impiegati nelle campagne della raccolta agrumicola delle province di Roma, Caserta, Reggio Calabria, Foggia e Bari, in stato di denegati lo status di rifugiato. L’ipotesi che proponiamo, dopo un attento studio delle leggi e delle possibili applicazioni della stessa è determinare alcune condizioni di cui i migranti sono portatori, che possano essere esaminate attraverso un’audizione presso le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione Internazionale che procede ad esaminarle, audizione tesa concedere, valutando caso per caso, il titolo di soggiorno per motivi umanitari.
In virtù dello status di denegati e della grave vulnerabilità sociale e di salute, ai sensi dell’art 5 comma 6 del testo unico, attraverso le procedure previste dal decreto legislativo del 28 gennaio 2008, n. 25, ma anche in riferimento all’impossibilità del rimpatrio verso alcuni determinati paesi ai sensi della direttiva europea sui rimpatri, proponiamo un’audizione per ognuno degli africani, presso le commissioni territoriali competenti. Queste dovrebbero, attraverso una nuova istanza del denegato, riesaminare la posizione di ogni singolo migrante al fine di concedere un permesso per motivi umanitari nel caso la protezione sussidiaria e lo status di rifugiato siano impossibili da concedere.
Attraverso il bolg rottemigranti, racconteremo i dati e le
condizioni dei migranti del sud, frutto dell’inchiesta che abbiamo
avviato a partire dalle storie degli africani raccolte tra il 2011 e il
2012, per mettere a nudo la vera condizione di centinaia di persone,
alle quali è nostra intenzione dare voce.
per questo Rotte Migranti nasce come un progetto di
Quiebraley (Action_DirittiInMovimento) pensato e
realizzato dagli attivisti di ACTION del collettivo Quiebraley.
Da molti anni il collettivo si occupa di diritti delle migrazioni e
della cittadinanza. Abbiamo pensato di aprire un blog e di raccontare le
rotte migranti, rotte che tendono alla dignità e alla libertà, ma che
spesso vengono deviate verso la miseria e la discriminazione. vogliamo
cominciare dalle storie che abbiamo raccolto negli ultimi due anni,
a partire dalla Campagna SUD, pubblicarle per invertire una tendenza…Purtoppo quando si parla di
sbarchi, di rivolte, di condizioni di vita e di lavoro nelle campagne,
quando si parla dei migranti che costruiscono la loro vita nelle piccole
città dal Sud al Nord, della loro condizione di rifugiati si ha, per lo
più, la tendenza a raccontarne in termini di gruppi, a
citare dati statistici, spostamenti di popolazioni, problemi dei Paesi
di origine, oppure ancora peggio si sente parlare di risultati di
operazioni di polizia, di espulsioni, di ripristino della legalità.
Tutto ciò rischia, però, di deformare la realtà di farci perdere un
punto di vista essenziale: dietro ogni numero e dietro ogni rifugiato
c’è un individuo con il suo passato, un proprio
bagaglio di affetti, ricordi, legami, speranze. Ci dimentichiamo che tra
i rifugiati, tra i migranti, tra i braccianti della piana, molti sono
stati strappati alle loro vite da una violenza indiscriminata della
quale, a volte, non conoscono nemmeno la ragione. Non è facile ascoltare
le loro storie ed è ancora più difficile trascriverle: si ha quasi la
sensazione di derubarli di qualcosa, di metterli di nuovo davanti a
sofferenze che vorrebbero dimenticare ma che ormai fanno, purtroppo,
parte per sempre del loro essere. Tuttavia ci rendiamo conto che, a
volte, raccontare è utile per far capire chi sono queste persone che
arrivano sulle nostre coste, che lavorano nelle nostre città, vicino
alle nostre case; serve per farci rendere conto che chi scappa e lascia
la propria terra, la propria famiglia, la propria casa, non lo fa senza
sofferenza.
Vogliamo che il racconto ci aiuti a capire come la fuga
sia l’ultima possibilità di vita, una vita che anche in Italia, nelle
campagne, non gli viene ancora riconsegnata, un’identità strappata e mai
ricomposta, radici profonde che invece devono ridare dignità e che noi
qui vogliamo riconsegnare alla storia, alla storia che appartiene a
tutti noi e che noi vogliamo ricostruire.
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