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martedì 22 dicembre 2015

La verità sul sistema Hot Spot - Violazioni e illegalità a Lampedusa

La denuncia delle associazioni


Nelle ultime settimane sono arrivate a Palermo, ma anche a Catania e in altre città della Sicilia, decine di persone provenienti da Mali, Gambia, Pakistan, Somalia, Eritrea, Nigeria, con in mano solo un decreto di respingimento differito che intima di lasciare il territorio italiano dalla frontiera di Roma Fiumicino entro 7 giorni. Provengono tutte da Lampedusa, dove sono arrivate dopo essere state intercettate in mare e portate sull'isola.
A questi migranti non è stato consentito di fare richiesta di protezione internazionale, nonostante siano entrati in contatto con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Raccontano di essere stati informati della possibilità di chiedere asilo, ma di non aver avuto modo di farlo realmente.
Raccontano di essere stati invece costretti a firmare un foglio di cui non hanno compreso il contenuto perché in una lingua a loro sconosciuta (quando invece in calce al decreto c'è sempre assurdamente scritto che 'l'interessato si rifiuta di firmare' e questo perché si tratta di moduli prodotti in serie e prestampati).
Raccontano ancora di essere stati fotosegnalati e imbarcati con altri migranti sulla nave per Porto Empedocle e, a bordo, di essere stati poi separati in gruppi sulla base di criteri ad oggi incomprensibili.
Queste persone sono state quindi abbandonate alla stazione di Agrigento, o in altre piccole stazioni dell'agrigentino, con il solo decreto di respingimento in tasca.
Un decreto avverso il quale gli avvocati delle reti di sostegno siciliane hanno già presentato ricorso perché del tutto illegittimo e incostituzionale.
Nel frattempo, centinaia di migranti in maggioranza eritrei sono illegalmente detenuti a Lampedusa per settimane, perché si rifiutano di farsi prendere le impronte digitali: non perché abbiano qualcosa da nascondere, ma perché vogliono raggiungere i loro cari che si trovano in altri paesi dell'Unione europea senza restare imbrigliati nelle maglie del Regolamento cosiddetto Dublino 3, o dell'ambigua promessa di ricollocamenti mai avviati realmente se non in pochissimi casi usati dal governo a fini propagandistici.
L'Europa sta usando la retorica dell'accoglienza dei rifugiati per perseguire drammaticamente la sua guerra alle migrazioni dai Sud del mondo.

Queste le prime conseguenze della messa in opera del sistema degli Hot Spot, che vede Lampedusa, ancora una volta, come luogo di sperimentazione dell'inasprimento delle politiche migratorie e di inedite violazioni dei diritti fondamentali.
Le notizie sono quelle di formulari a risposte multiple (il cosiddetto 'foglio notizie') somministrati, laddove non compilati, da funzionari non meglio identificati, sia italiani che dell'Ue, sulla base dei quali si stabilisce definitivamente chi può chiedere asilo.

È innanzitutto il diritto di asilo a essere quindi cancellato da questo sistema: un diritto soggettivo perfetto che può essere richiesto ovunque e da chiunque indipendentemente dalla sua origine e provenienza nazionale. Un diritto completamente negato nel momento in cui si pensa di stabilire in pochi giorni e solo sulla base della nazionalità chi possa accedere alle procedure di riconoscimento della protezione, e chi invece debba essere 'clandestinizzato', insieme alle migliaia di richiedenti asilo diniegati, costantemente in aumento per chiare direttive governative, e sempre più spesso destinatari di provvedimenti di espulsione notificati contestualmente al rigetto della loro domanda di protezione arbitrariamente dichiarata 'manifestamente infondata'.

Ed è questo il punto: dopo un tempo di caotico riassestamento delle politiche europee delle migrazioni, a fronte dei rivolgimenti epocali degli ultimi anni, la strumentale divisione tra 'veri' e 'falsi' rifugiati è adesso usata per 'clandestinizzare' i profughi, tornando a rinfoltire quelle masse di invisibili da marginalizzare e sfruttare, per poi urlare all'emergenza sociale o sanitaria di fronte alle conseguenze di queste scelte illegittime e irresponsabili.
L'unica emergenza, visto anche il calo degli arrivi attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, e la diminuzione constante, dal 2008 ad oggi, degli ingressi dai tradizionali paesi di emigrazione, è rappresentata, insieme alle morti alle frontiere d'Europa, dall'illegalità e dall'ingiustizia del sistema posto in essere.

Fermo restando che le uniche politiche migratorie coerenti e razionali, oltre che giuste, sarebbero rappresentate dall'apertura di canali di ingresso legali che sottraggano le persone ai trafficanti e alla morte alle frontiere, permettendo loro di entrare in Europa in sicurezza, identificate e senza doversi nascondere,

Chiediamo ora con urgenza:

- Che ogni migrante in qualunque luogo d'Italia abbia immediato ed effettivo accesso alla richiesta di protezione internazionale;

- Che vengano revocati tutti i decreti di respingimento differito fino ad oggi consegnati sulla base del sistema hot spot lanciato a Lampedusa;

- Che il centro di Lampedusa venga immediatamente chiuso e si rinunci all'apertura di ulteriori hot spot che non hanno alcuna base giuridica se non decisioni della Commissione e del Consiglio europeo, e che sono strutturalmente progettati sull'annullamento del diritto d'asilo e sulla violazione dei diritti di tutti i migranti;

- Che cessino immediatamente le prassi di rilascio dei decreti di espulsione notificati ai richiedenti asilo nel momento stesso in cui la loro domanda viene dichiarata 'manifestamente infondata';

- Che nessuna violenza sia autorizzata nel prelievo delle impronte digitali, e il governo italiano rivendichi invece in Europa la cancellazione del Regolamento Dublino in tutte le sue versioni;

- Che si receda immediatamente dagli accordi di riammissione coi paesi di origine e di transito, che il più delle volte vedono Italia e Unione europea negoziare con dittatori e carnefici, e che sono volti solamente a fornire copertura formale a pratiche di respingimento ed espulsione collettive.


Primi firmatari: Borderline Sicilia Onlus, Borderline-Europe, Centro salesiano Santa Chiara di Palermo, Circolo Arci Porco Rosso di Palermo, Ciss - Cooperazione Internazionale Sud Sud, Comitato Antirazzista Cobas (Palermo), Comitato NoMuos/NoSigonella, Forum Antirazzista di Palermo, La città Felice(Ct) - Le città vicine, L’Altro Diritto Sicilia, Laici Missionari Comboniani, Palermo Senza Frontiere, Rete Antirazzista Catanese



venerdì 1 maggio 2015

Le crepe delle frontiere






L’ennesima tragedia del Mediterraneo ci insegna, o dovrebbe insegnarci, che la questione immigrazione non è affatto un’emergenza. Si tratta di un fenomeno di lungo periodo che mette in discussione il modo stesso di intendere noi stessi e la società in cui viviamo. E a ben vedere il modo in cui viene affrontata tale questione implica delle conseguenze profonde, ha degli effetti duraturi sulla struttura dei diritti sociali e civili del Paese e dell’Europa intera. Le politiche sull’immigrazione si riflettono dunque sulla nostra vita di cittadini comunitari.

Ecco perché quei morti del Mediterraneo non rappresentano solo una questione morale, non sono solo un caso su cui ognuno di noi è chiamato singolarmente a fare i conti, con la propria personale sensibilità. E non si tratta nemmeno di una questione prettamente etica: se pur una riflessione di principio sul significato della strage permanente dei migranti ha un valore immenso e imprescindibile, questa rischia di rimanere una pura riflessione astratta, senza risvolti concreti in grado di modificare il corso degli eventi. Il nodo è invece pienamente politico, perché affrontare la questione immigrazione significa decidere come vogliamo vivere e quale futuro vogliamo costruire.

Innanzitutto, va rilevato che la distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo è forzata. Non si tratta necessariamente di chi fugge dalla guerra e/o dalla fame. Come per i nostri emigranti del secolo scorso, spesso sono l’immobilità sociale e le prospettive inesistenti a far nascere il desiderio di mettere radici altrove. Anche la mancanza di libertà è un fattore determinante. Come lo sono gli effetti nefasti (ambientali ed economici) dell’invadente presenza occidentale nei Sud del mondo. In ogni modo, bisogna riconoscere che i motivi dell’emigrazione sono talmente forti da portare le persone a rischiare la propria vita. Ed è proprio quello che avviene nelle Commissioni per il riconoscimento dello status di rifugiato: in base ai dati forniti dal ministero dell’Interno, tra il 2005 e il 2012 l’8,55% dei richiedenti ha ottenuto l’asilo, mentre al 43% è stata comunque riconosciuta una protezione sussidiaria o per motivi umanitari, senza dimenticare che oltre il 10% dei migranti ottiene un diniego poiché risulta irreperibile al termine del lungo iter burocratico.

Nonostante l’approccio securitario che ha portato alla costruzione della “fortezza Europa”, è l’Ue stessa a indicare un cambio di rotta determinante: Il Consiglio europeo e la Commissione europea con il GAMM (Global approach to migration and mobility, 2011) invitano gli stati a considerare la migrazione come un processo circolare, ovvero in termini di mobilità, che è datato e programmabile. Un paradigma che imporrebbe un sistema di visti e di ingressi diversificato, in modo da massimizzare gli effetti positivi della migrazione. Al contrario quello che l’Italia e molti stati europei continuano a fare è guardare alle migrazioni come un fenomeno emergenziale, senza riconoscere gli impatti positivi che ha soprattutto sul sistema economico, politico e sociale.

A questa domanda di mobilità internazionale corrisponde troppo spesso un governo irresponsabile delle migrazioni. Gli arrivi via mare, che sono una minima percentuale degli ingressi complessivi, continuano a essere percepiti come fenomeni incontrollabili e imprevisti da alcuni, come invasioni barbariche da altri. Invece di canalizzare i flussi internazionali si costruisce un muro e, come l’acqua di fronte agli ostacoli, le persone si infilano tra le crepe del sistema per raggiungere il loro obiettivo. La chiusura quasi totale dei canali di ingresso regolari per i migranti economici ha portato ai viaggi in mare e al moltiplicarsi delle richieste di asilo, presentate non solo da chi fugge da guerre e persecuzioni ma anche da chi fugge dalla fame, dalle devastazioni ambientali, dalla crisi economica generata dal venir meno dei sistemi economici e sociali di sussistenza, dalla mancanza di libertà e di prospettive.

Il punto centrale della riflessione riguarda l’inefficacia – oltre alla disumanità e all’ingiustizia - delle politiche di chiusura: il sistema delle espulsioni è palesemente fallace, in quanto sono migliaia i migranti che non possono essere rimpatriati perché non identificabili, mentre la pratica dei respingimenti in mare e gli accordi di riammissione sono stati duramente sanzionati dalla Corte di Strasburgo. In altri termini, considerato che gli unici a non arrivare sono quelli che muoiono in mare, i naufragi rappresentano quindi l’unica strategia di riduzione dei flussi migratori messa in campo da Italia e Ue.

Eppure esisterebbero gli strumenti per invertire questa tendenza che sta spezzando migliaia di vite. È necessario un sistema di gestione delle richieste di asilo che non costringa i migranti a rischiare la morte per cercare salvezza: le ambasciate devono mettere a disposizione i propri uffici, creando così dei canali umanitari, e bisogna rafforzare il sistema di resettlement (reinsediamento) dell’Unhcr, fornendo maggiori disponibilità in modo da evitare che i richiedenti asilo aspettino anni nei campi profughi prima di essere trasferiti. L'Italia può e deve fare la sua parte attivando subito un piano nautico di ricerca e salvataggio applicando la Convenzione SAR(Search and Rescue) di cui è firmataria, che metta in sicurezza i viaggi disperati dei migranti nel canale di Sicilia. C'è una enorme responsabilità che il governo italiano si assume se non ci si muove in tal senso.

In termini di politica delle migrazioni, determinante di un cambio di passo sarebbe una rivisitazione del sistema d’asilo, ancorato alle logiche della guerra fredda, il superamento della distinzione netta tra migranti economici e rifugiati nell'ottica di costruire un sistema di ingressi legale che tenga conto delle domande effettive di ingresso e che sia accessibile a quanti vogliano emigrare.

Ma soprattutto questo tema deve diventare oggetto di "buona politica". Bisogna cominciare a ragionare senza l'alibi del consenso "popolare" in molti casi manipolato e ingannato ad interesse elettorale. C'è bisogno di coraggio per salvare quelle vite e per mettere fine all'ingiustizia che permette la mobilità solo per i cittadini occidentali dei paesi ricchi.


madiba mandela project
action diritti in movimento

venerdì 28 febbraio 2014

direttive europee


Il Consiglio dei Ministri ha recepito due direttive europee. Un decreto interviene su permessi di soggiorno ed esame delle domande per i flussi, l’altro ha misure dedicate alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime
Roma – 28 febbraio 2014 – Dal Consiglio dei Ministri di oggi sono usciti non solo la lista dei sottosegretari o la norma salva-Roma, ma anche, tra le altre cose, la versione definitiva di due decreti legislativi che recepiscono altrettante direttive europee sull’immigrazione.


Un decreto recepisce la “direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro”.

lunedì 13 gennaio 2014

Tratta di esseri umani e permesso unico di soggiorno e lavoro. Primo passo per il recepimento delle due direttive europee.

3 dicembre 2013 - Il Consiglio dei Ministri approva gli schemi di decreti legislativi di recepimento delle due direttive europee 


Il Consiglio dei Ministri n. 39 del 3 dicembre ha approvato, su proposta del ministro per gli Affari europei, e dei ministri di settore, numerosi schemi di decreti legislativi di recepimento di direttive europee, sui quali dovranno essere ora acquisiti i pareri delle competenti commissione parlamentari. Tra gli schemi di decreto approvati vi sono quelli relative al recepimento: 

• della direttiva 2011/36, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime (co-proponenti i ministri della Giustizia e del Lavoro e delle Politiche sociali). 

• della direttiva 2011/98, relativa alla procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro (co-proponenti i ministri dell’Interno e del Lavoro e delle Politiche sociali, Enrico Giovannini). 

Anche i titolari di protezione internazionale potranno ottenere il rilascio del permesso di soggiorno Ue per lungo soggiornanti

17 dicembre 2013 - Approvato in Consiglio dei Ministri il Decreto legislativo che consentirà ai titolari di protezione internazionale di accedere al documento con cui è possibile lavorare in tutta l’Ue 

Il Consiglio dei Ministri, riunitosi martedì 17 dicembre, ha approvato il decreto legislativo che, recependo la direttiva europea 2011/51/UE, consente il rilascio del permesso di soggiorno Ue di lungo periodo anche ai beneficiari di protezione internazionale. 
Tale documento, che potrà essere ottenuto con requisiti più favorevoli rispetto quelli richiesti normalmente agli altri stranieri, è a tempo illimitato e consente di accedere al mercato di lavoro degli altri paesi dell’Unione europea. 
In particolare, il decreto ha limitato i requisiti per ottenere il permesso Ue a quelli reddituali. A differenza degli altri cittadini stranieri i beneficiari di protezione internazionale non dovranno quindi dimostrare di avere un livello di conoscenza linguistica almeno a un livello A2 e, nel caso la richiesta riguardi tutta la famiglia, non devono documentare la disponibilità di un alloggio idoneo. 
 Relativamente ai requisiti reddituali il decreto tiene conto delle particolari condizioni di vulnerabilità in cui può versare un beneficiario di protezione internazionale, facendo concorrere alla determinazione del reddito, per una misura massima del 10%, la disponibilità di un alloggio concesso a titolo gratuito da un ente assistenziale, pubblico o privato riconosciuto. 

Al fine della determinazione dei cinque anni di soggiorno si tiene conto della data di domanda di protezione internazionale. Sul permesso Ue rilasciato dovrà essere annotato che al titolare è stata riconosciuta la protezione internazionale in Italia. La possibilità di espulsione rimane circoscritta a motivi legati all’ordine e sicurezza pubblica e alla sicurezza dello Stato, fermo restando il principio di non refoulement che vieta l’espulsione verso uno Stato in cui la persona può essere oggetto di persecuzione. Se espulso da un’altro Stato membro il cittadino straniero può essere riammesso in Italia. 

Il decreto è stato approvato dopo aver acquisto il parere delle Commissioni parlamentari competenti e adesso è in attesa di essere emanato dal Capo dello Stato e poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale. 


martedì 8 ottobre 2013

Strage di Lampedusa

Il movimento ottiene un tavolo di confronto col governo


Rabbia e indignazione hanno determinato unità d’intenti per rivendicare la pronta istituzione di un canale umanitario per i profughi stranieri in viaggio verso le coste italiane. Ieri lunedì 7 ottobre in Piazza Esquilino a Roma, luogo storico delle lotte per i diritti dei migranti, in un sol coro è partita la richiesta di un una soluzione rapida e concreta all’immane tragedia, l’ennesima, che si sta consumando a largo delle coste siciliane. La pioggia non ha fermato il sit-in: oltre sessanta realtà hanno aderito all’appello sulla scorta delle mobilitazioni che si sono susseguite in diverse città dopo la strage di Lampedusa. E alle firme è seguita una presenza compatta del movimento antirazzista romano, dell’associazionismo, dell’attivismo politico. Una piazza partecipata, consapevole, che,  così  come era accaduto all’indomani della rivolta di Rosarno, ha saputo condividere idee e obiettivi, sensibilità e competenze, fare rete nel rispetto delle specificità di ognuno

sabato 20 luglio 2013

Manuale sul diritto europeo in materia di asilo, frontiere e immigrazione

La FRA e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno pubblicato il “Manuale sul diritto europeo in materia di asilo, frontiere e immigrazione”, basato sulla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di giustizia europea, nonché sui regolamenti e le direttive europee in materia.
Il manuale analizza la condizione delle persone provenienti da Paesi terzi arrivate in Europa, comprendendo un ampio spettro di materie: accesso alle procedure per ottenere asilo politico, procedure di salvaguardia e di supporto legale in casi di asilo e rimpatrio, detenzione e restrizione della libertà di movimento, rimpatri forzati, diritti economici e sociali. Si tratta della prima guida completa del diritto europeo in materia.
Il manuale si rivolge ad avvocati, giudici, procuratori, guardie di frontiera, ufficiali e altri che lavorano con autorità pubbliche o organizzazioni non governative o altri organismi che possono doversi confrontare con questioni legali in riferimento ai temi affrontati nella guida.

domenica 7 luglio 2013

Nuovo sistema di asilo in Europa

Sono state approvate dal Parlamento lo scorso 12 giugno, le nuove regole per le procedure comuni relative alle domande di asilo e ai diritti di base per i richiedenti asilo nell’UE. Il regime europeo comune bloccherà anche i trasferimenti di richiedenti asilo verso gli Stati membri che non sono in grado di garantire loro condizioni di vita dignitose. Entro il 20 luglio 2015 (per alcune norme si rinvia addirittura al 2018) ogni Stato dovrà recepire nell’ordinamento interno le modifiche per adeguarsi alle 2 direttive e gli atti necessari ad adeguarsi alle modifiche introdotte nei 2 regolamenti.

lunedì 22 ottobre 2012

Fortezza Europa 2.0

Tra meno di un un anno sarà operativo Eurosur, nuovo sistema transnazionale di controllo delle frontiere. Poi sarà la volta delle frontiere intelligenti. Avete idea di quanto ci costerà tutto questo?
Ridurre gli ingressi illegali nell’Ue, le morti legate ai tentativi di immigrazione clandestina e la criminalità transfrontaliera. Con questi obbiettivi, nel 2008, Franco Frattini, allora Commissario europeo per la Giustizia, la libertà e la sicurezza, presentava al Parlamento europeo due proposte che sono adesso in fase di attuazione. La prima puntava alla costruzione di un sistema integrato di sorveglianza alle frontiere dell’Ue, utilizzando anche satelliti e droni. La seconda alla creazione di “frontiere intelligenti”, capaci di riconoscere biometricamente le persone in entrata e in uscita, agevolando il transito dei viaggiatori “graditi”. In particolare, il primo progetto, Eurosur (European External Border Surveillance System), sarà operativo dal 1 ottobre 2013.
Eurosur prevede la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità di frontiera dei Paesi membri e Frontex (l’Agenzia europea per le frontiere esterne). Ogni Stato suddividerà i propri confini in porzioni, a ognuna delle quali sarà attribuito un livello di impatto “sulla base di un’analisi dei rischi e del numero di episodi che si verificano”. Le rilevazioni saranno poi raccolte da un Centro nazionale di coordinamento, che si occuperà di condividerle con i Centri degli altri Paesi e Frontex. Ma quanto ci verrà a costare tutto questo?
Secondo la Commissione Europea, 340 milioni di euro entro il 2020. Ma il rapporto Borderline, finanziato dalla fondazione Heinrich Boll e realizzato da Ben Hayes e Mathias Vermeulen, prevede cifre differenti, due o tre volte più alte. Non solo: gli autori si mostrano alquanto scettici sull’efficacia di questo impianto così immaginifico.
Ma è sulla questione dei diritti umani dei migranti che le contraddizioni di Eurosur si fanno più stringenti. Se da un lato il testo del progetto prevede la piena compatibilità “con i diritti fondamentali” dell’uomo e il relativo “divieto di respingimento”, dall’altro non spiega come questi principi possano conciliarsi con l’esternalizzazione delle frontiere. La cooperazione con i paesi confinanti viene infatti considerata «cruciale per il successo di Eurosur». «Se la Comunità fornisce già un’assistenza finanziaria alla maggior parte dei paesi terzi vicini per aiutarli a gestire le loro frontiere, l’esigenza specifica di sviluppare una cooperazione operativa (…) impone all’Ue di aumentare tale sostegno finanziario e logistico». E come si potrà chiedere asilo se si rimane bloccati sulle coste tunisine, egiziane o libiche? «Alle persone che vogliono richiedere protezione internazionale-, dice l’europarlamentare verde Ska Keller a Corriere Immigrazione -, sarà impedito anche solo di raggiungere i confini europei. Se sono fermate nel paese di origine o di transito, è ovvio che sarà loro precluso di presentare la richiesta di asilo in Europa». Con il suo gruppo al Parlamento europeo, Keller ha lanciato la campagna smash border (“rompere” le frontiere) in opposizione alle smart border (frontiere intelligenti) tanto care a Frattini. «Con questo progetto milioni e miliardi di euro saranno spesi per realizzare frontiere esterne ad alta tecnologia senza alcuna certezza sulla loro efficacia».
Chi, nonostante tutto, riuscisse a entrare nella Fortezza Europa, dovrà vedersela con satelliti e droni. I primi serviranno «per il controllo e la raccolta di informazioni relative a zone predefinite» mentre i secondi produrranno «immagini dettagliate sull’area interessata al momento richiesto». L’incrocio delle potenzialità dei due strumenti permetterà a Frontex, in concorso con le autorità frontaliere dei Paesi membri, di avere un’idea chiara sulla situazione e di adottare “contromisure”. Ma non si spiega, ancora una volta, quale sarà il destino dei migranti intercettati e chi si farà carico di loro.
Per gli autori di Borderline, gli unici interessati al funzionamento di Eurosur sono stati Frontex e i fornitori di tecnologia. «Le industrie fornitrici di queste sofisticate tecnologie sono i principali agenti di pressione», conferma Keller. «Il rafforzamento del controllo delle frontiere non nasce da un bisogno reale ma obbedisce a dei principi ideologici a loro volta alimentati da interessi economici. Ma l’obiettivo continua a non essere chiaro: chiedono confini più “forti” ma non specificano cosa intendano con questa espressione». Dello stesso avviso è Claire Roder, giurista dell’associazione francese Gisti, che al business della xenofobia ha dedicato un libro-inchiesta, intitolato, appunto, Xénophobie Business (La Découverte, pp. 194, 16 euro). «In cinque anni d’attività l’agenzia europea Frontex ha moltiplicato il suo budget per quindici: un’enormità in tempo di crisi!», ha detto in un’intervista pubblicata da Liberation. «Non si può fare a meno di pensare che muri, recinzioni, radar e adesso droni che coprono i confini dell’Europa, servano meno ad impedire alle persone di passare che a generare profitti di tutti i tipi: finanziari, certo, ma anche ideologici e politici».
Il secondo progetto, le “frontiere intelligenti”, è invece ancora allo studio. Da una parte esso prevede un sistema di entrata/uscita con la raccolta di dati personali e biometrici delle persone di Paesi terzi. Dall’altra, attraverso il programma Rtp (Registered Traveller Programme), un registro per facilitare i viaggiatori accreditati, che così potranno evitare le lunghe code riservate agli altri, ovvero ai “sospetti”. Ad ogni viaggiatore saranno prese le generalità, le impronte digitali e le foto segnaletiche, sia all’ingresso che all’uscita. Dal confronto, si avrà il numero degli “indesiderati” rimasti oltre la scadenza. «Questo meccanismo-, ci spiega Keller, -sarà sicuramente più utile per raccogliere informazioni statistiche su chi entra ed esce. Ma vogliamo spendere davvero 1 miliardo di euro per un database statistico? In questo modo i dati di tutti i cittadini extra-Ue saranno raccolti e forse anche utilizzati per l’applicazione della legge. Non è questa una chiara discriminazione e stigmatizzazione degli stranieri?».
Altro tema delicato, ricordano gli autori di Borderline, è quello della conservazione e trattamento dei dati personali. Secondo la legislazione Ue, è necessaria una ragione legittima per conservare le caratteristiche fisiche di una persona. Per non parlare del fatto, poi, che svariati motivi possono impedire ad una persona di uscire. A partire da un banale ricovero in ospedale. «Le “frontiere intelligenti” creeranno un sacco di costi senza avere un obiettivo chiaro-, conclude Keller. -A mio avviso, “intelligente” significa qualcos’altro».
Luigi Riccio

fonte: corriereimmigrazione