martedì 18 dicembre 2012

campagna di monitoraggio braccianti immigrati 2012/2013

Nell'ambito della campagna per la promozione delle politiche dell'inclusione

promossa da Action Diritti In Movimento e Quiebraley Diritti Senza Confini

"Politiche d'immigrazione VS Politiche per i migranti, 

risposte locali ad un problema globale"


Action DirittiInMovimento con il patrocinio della Provincia di Roma, promuove il progetto di intervento per il monitoraggio del lavoro migrante nel territorio della Provincia SUD del lazio - Agro pontino - che rappresenta da decenni la meta di centinaia di migranti impiegati nelle campagne della zona. La stragrande maggioranza dei braccianti stranieri che si trova in una condizione giuridica ed amministrativa instabile, vive nell' l’invisibilità alla quale sono imposte condizioni di vita e lavorative degradanti. Una campagna di monitoraggio della realtà migrante e delle buone pratiche attive localmente, che realizzerà la redazione di un Dossier contenente l’elaborazione e l’analisi dei dati raccolti, anche a confronto con le condizioni monitorate del sud italia, attraverso la campagna "radici/rosarno", in uscita all'inizio di febbraio 2013.

L’emersione di dati effettivi sulla condizione dei lavoratori migranti deve continuare a costituire il punto di partenza di ogni approccio al fenomeno, ma per essere efficace deve essere condotta con strumenti opportuni, che tutelino in primo luogo la soggettività degli individui, il loro vissuto e le loro aspettative, elaborando strategie ad ampio raggio, rafforzando un modello alternativo ed efficace di approccio all’universo migrante.

Verrà inoltre analizzata la nuova direttiva 2009/52/CE, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 30 giugno 2009, recepita dal nostro ordinamento con Decreto Legislativo 16 luglio 2012, n. 109 che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, congiuntamente con la nuova legge sul caporalato di cui all’ art. 12 del Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, pubblicato sulla GU n. 188 del 13-8-2011.

Action diritti in movimento
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lunedì 29 ottobre 2012

Corte costituzionale "armonizzare la legislazione sull’immigrazione riprendendo i numerosi interventi innovatori in materia dei diritti umani"

In un seminario di studio sulla condizione giuridica dello stranieri, la Consulta invita a passare da normative improntate all’ordine pubblico a quelle che tengono conto dei diritti fondamentali della persona.


Un richiamo alla necessità di armonizzare la legislazione relativa alla presenza degli stranieri in Italia e al ruolo che la Corte costituzionale ha avuto nella definizione dello status di straniero e immigrato, attraverso interventi innovatori che hanno evidenziato, in più casi, i limiti delle leggi vigenti, soprattutto dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.
È quanto è emerso nel corso del seminario sulla Condizione giuridica dello straniero nella giurisprudenza della Corte costituzionale organizzato dalla Consulta, che venerdì scorso ha visto gli interventi, oltre che del presidente Alfonso Quaranta, di alcuni giuristi esperti della materia: Guido Corso, Cecilia Corsi e Bruno Nascimbene.
La Corte, si legge in una nota al termine dei lavori, auspica che le norme si conformino sempre più al nuovo profilo che si è andato via via delineando, rivedendo anche recenti interventi normativi in materia di immigrazione, chiarendone eventuali punti critici ed eliminando automatismi che nella pratica possono confliggere con i diritti essenziali e fondamentali delle persone.
I giuristi si sono confrontati passando in rassegna il lavoro svolto dalla Consulta nel corso degli anni su questo fronte. Un contributo giurisprudenziale che ha progressivamente permesso di passare da una normativa sull’immigrazione improntata principalmente sulla salvaguardia dell’ordine pubblico e sul presidio delle frontiere, e quindi ispirata da esigenze di sicurezza, a una normativa che tiene conto anche dei diritti fondamentali della persona. Il dato che si è acquisito è che l’intervento pubblico non può limitarsi al controllo degli ingressi, ma investe anche la tutela della salute, l’istruzione, il diritto all’abitazione. Non è un caso che la Consulta abbia sistematicamente “bocciato” quasi tutti i ricorsi che il governo centrale – tentando di far leva su una competenza esclusiva in materia di immigrazione – ha proposto contro le Regioni che hanno legiferato in tal senso. C’è poi la problematica che riguarda la disciplina di ingresso e di espulsione, che ha avuto un’evoluzione travagliata nel corso degli ultimi 15 anni. Diverse le leggi che si sono avvicendate, dalla Napolitano-Turco del ’98 alla Bossi-Fini del 2002, fino al pacchetto sicurezza firmato dall’ex ministro Maroni che introdusse anche il reato di immigrazione clandestina, ma fu per più aspetti censurato dalla Consulta. Anche gli automatismi che accompagnano l’espulsione o la possibilità di regolarizzare gli immigrati sono stati indicati come un limite da ripensare e sentenze recenti della Corte, come la 172 del 2012, che ha dichiarato illegittima una norma che escludeva automaticamente la possibilità di regolarizzare gli stranieri condannati per reati di scarsa gravità, va in questa direzione.

Emergenza nord africa

Fine senza soluzioni?



Sta circolando in questi giorni la bozza di un’ordinanza della Protezione Civile che conterrebbe le decisioni del governo rispetto alla fine della cosiddetta emegenza Nord Africa. Il documento conferma l’intenzione di non prolungare l’emergenza oltre il 31 dicembre del 2012 (in altre parole, l’erogazione dei finanziamenti esistenti per mantenere l’accoglienza)  e affida ai prefetti il compito di mettere in atto tutte le procedure necessarie alla “gestione” delle persone (circa ventimila) che si trovano ancora in una posizione interlocutoria, perché non  ancora ascoltate dalla Commissione o perché hanno presentato un ricorso. Non si fa parola in questo testo delle possibilità prospettate dal Tavolo tecnico presso  il Viminale di cui vi avevamo parlato pochi numeri fa
Se la situazione giuridica di queste persone non verrà regolata con il rilascio del permesso umanitario, mentre sono ancora in accoglienza sarà complicato farlo dopo. Se non si approfitta di queste ultime settimane per mettere in atto questo provvedimento, quando si pensa di farlo? Fintanto sono all’interno di strutture gestite è facile pensare che, per accedere a questa forma di protezione, possano essere seguiti e aiutati. Adesso sono tutti reperibili per dare loro assistenza e guidarli in questa nuova fase. Ci sono operatori pagati che si dedicano a questa operazione. Se non si provvede adesso come si pensa di poter fare in futuro?
Intanto (o meglio: proprio per questo) Arci, Asgi, Centro Astalli, Senza Confine, Cir, Cgil, Uil, Fcei, Ugl, Focus-Casa dei Diritti Sociali hanno indetto per il 30 ottobre un presidio davanti al Pantheon (a partire dalle 14), chiedendo al Governo: una decisione immediata con un provvedimento chiaro che consenta il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario in favore di tutti i profughi giunti dalla Libia e  una soluzione dignitosa e efficace per l’inclusione sociale dei profughi coinvolti nei progetti d’accoglienza, con la predisposizione di risorse adeguate, che consenta di realizzare il processo di integrazione di queste persone con precisi percorsi di uscita dai centri emergenziali con una chiara previsione di misure di sostegno. Le associazioni chiedono anche un coinvolgimento reale delle organizzazioni di tutela e dei territori coinvolti nell’accoglienza per la definizione di soluzioni concrete e una  verifica puntuale della qualità dei servizi erogati sul territorio nell’ambito dei progetti d’accoglienza.
Se la situazione rimane quella di oggi, se veramente si procedesse alla chiusura dell’accoglienza, senza una uscita dignitosa dei migranti dall’emergenza, gli scenari possibili sarebbero tutti estremamente negativi. Il governo dei “tecnici”, di fronte ad una falsa emergenza, perché il numero delle persone interessate è risibile in un paese di 60 milioni di abitanti, sembra intenzionato ad agire in maniera affatto difforme da quello che lo ha preceduto.

www.corriereimmigrazione.it

lunedì 22 ottobre 2012

Carissima carta d’identità

http://www.corriereimmigrazione.it

October 22, 2012
Piccole storie ignobili
Settecento euro. È la somma che a Sabaudia, in provincia di Latina, uno dei tanti “padroni”  ha chiesto ad un migrante sikh, suo dipendente, per aiutarlo ad ottenere il documento di riconoscimento. Settecento euro è il salario mensile di quel ragazzo.
È difficile commentare una notizia come questa. Non si può non restare sconvolti e disgustati da questo genere di comportamenti che purtroppo si ripetono spesso in un territorio dove l’arroganza dei “padroni” si associa alla latitanza delle istituzioni, indifferenti e quindi complici, e alla responsabilità di una cittadinanza che riconosce il problema ma che pare disinteressata e pigra.
Questa triste storia non costituisce un fatto privato o solo episodico tra il bracciante sikh e il suo datore di lavoro. È, invece, l’ennesima vicenda che colpisce la parte più debole della società italiana, ossia i migranti, con una sfacciata prepotenza che lascia attoniti e feriti. Nelle campagne pontine si verificano sistematicamente episodi di grande violenza nei riguardi dei braccianti indiani. Alcuni vengono derubati nel giorno di paga del salario mensile, altri picchiati per divertimento, altri ancora provocati da ragazzi con lanci di sassi mentre tornano o si recano in biciletta al lavoro. Un ragazzo sikh di trent’anni è stato selvaggiamente picchiato e quindi licenziato dal “padrone”: aveva chiesto un contratto regolare e gli arretrati.  Rivendicare i propri diritti quando hai la pelle scura, parli un italiano stentato e sei un bracciante magari con il turbante, in provincia di Latina, può essere assai pericoloso. Lo sanno bene le decine di braccianti migranti che ogni mattina si intravedono dai finestrini sporchi di terra e polvere dentro furgoni bianchi, diretti versi i campi agricoli pontini. Ognuno di loro ha una storia da raccontare e un pezzo di Italia da farci scoprire.
Quando il “pollo indiano” è, invece, facile da spennare, allora la violenza non è necessaria. Basta giocare sull’equivoco, sulla mancata conoscenza della lingua italiana e sul barocco funzionamento della burocrazia nostrana e l’affare si chiude con facilità. Senza tanti scrupoli e in pochi minuti si possono “intascare” discrete somme di denaro, evitando di correre  rischi, sapendo di poter contare sul silenzio del truffato. Un gioco da ragazzi insomma, o da gente furba, come dichiara un “padrone”, vantandosi di avere come braccianti solo indiani impiegati senza regolare contratto di lavoro insieme a qualche ragazza rumena. Controlli sporadici, segregazione culturale e sociale e salari che arrivano a circa 800 euro al mese per quattordici ore di lavoro quotidiano, per un totale di circa ventisei giornate lavorative: è questa la catena del potere criminale e padronale da spezzare.
L’indiano derubato dei suoi 700 euro è un sikh ortodosso, di quelli che indossano il turbante, il pugnale e tutti i simboli sacri che la sua religione prevede. È un giovane di trent’anni ed è in Italia da soli cinque. La sua paga, ancora oggi che ha cambiato datore di lavoro, è di circa 950 euro al mese, ma finalmente è in regola.  Il nuovo  “padrone” è per lui sempre bravo, anche quando  non gli paga tutte le ore che ha lavorato o ritarda il pagamento del salario di qualche mese. Ora sta cercando moglie in Punjab e mentre racconta sottovoce la truffa subita, abbassa gli occhi e qualche volta sorride, forse per alleviare il dolore non solo per il furto ma anche per la fiducia tradita da quel “padrone italiano” che considerava “bravo”.
Questa storia è stata raccontata, quasi per caso e con discrezione, dal suo protagonista, con la pacatezza che è tipica dei sikh. La reazione è stata di incredulità. Ma sarà davvero accaduto? Forse è un’esagerazione dovuta alla scarsa conoscenza dell’italiano. Approfondendo, cercando riscontri, ascoltando i racconti di altri sikh, ci siamo resi conto che è tutto vero e che la realtà purtroppo supera la fantasia.
Quanto accaduto non è semplicemente un furto. È un atto infame e crudele che evidenzia una povertà etica e morale che lascia sbigottiti, il coma etico che ottenebra il paese e che nasconde le sue vere povertà, a partire dallo smarrimento del senso del dovere e della giustizia. Casi di ordinaria immoralità che devono essere raccontati perchè nessuno si senta esente da colpe e responsabilità. Intanto, domani è un altro giorno e quel pulmino bianco sporco di terra e polvere è ancora lì che attende il suo prossimo carico di braccia e di stanchezza da portare nei campi.
Marco Omizzolo

Fortezza Europa 2.0

Tra meno di un un anno sarà operativo Eurosur, nuovo sistema transnazionale di controllo delle frontiere. Poi sarà la volta delle frontiere intelligenti. Avete idea di quanto ci costerà tutto questo?
Ridurre gli ingressi illegali nell’Ue, le morti legate ai tentativi di immigrazione clandestina e la criminalità transfrontaliera. Con questi obbiettivi, nel 2008, Franco Frattini, allora Commissario europeo per la Giustizia, la libertà e la sicurezza, presentava al Parlamento europeo due proposte che sono adesso in fase di attuazione. La prima puntava alla costruzione di un sistema integrato di sorveglianza alle frontiere dell’Ue, utilizzando anche satelliti e droni. La seconda alla creazione di “frontiere intelligenti”, capaci di riconoscere biometricamente le persone in entrata e in uscita, agevolando il transito dei viaggiatori “graditi”. In particolare, il primo progetto, Eurosur (European External Border Surveillance System), sarà operativo dal 1 ottobre 2013.
Eurosur prevede la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità di frontiera dei Paesi membri e Frontex (l’Agenzia europea per le frontiere esterne). Ogni Stato suddividerà i propri confini in porzioni, a ognuna delle quali sarà attribuito un livello di impatto “sulla base di un’analisi dei rischi e del numero di episodi che si verificano”. Le rilevazioni saranno poi raccolte da un Centro nazionale di coordinamento, che si occuperà di condividerle con i Centri degli altri Paesi e Frontex. Ma quanto ci verrà a costare tutto questo?
Secondo la Commissione Europea, 340 milioni di euro entro il 2020. Ma il rapporto Borderline, finanziato dalla fondazione Heinrich Boll e realizzato da Ben Hayes e Mathias Vermeulen, prevede cifre differenti, due o tre volte più alte. Non solo: gli autori si mostrano alquanto scettici sull’efficacia di questo impianto così immaginifico.
Ma è sulla questione dei diritti umani dei migranti che le contraddizioni di Eurosur si fanno più stringenti. Se da un lato il testo del progetto prevede la piena compatibilità “con i diritti fondamentali” dell’uomo e il relativo “divieto di respingimento”, dall’altro non spiega come questi principi possano conciliarsi con l’esternalizzazione delle frontiere. La cooperazione con i paesi confinanti viene infatti considerata «cruciale per il successo di Eurosur». «Se la Comunità fornisce già un’assistenza finanziaria alla maggior parte dei paesi terzi vicini per aiutarli a gestire le loro frontiere, l’esigenza specifica di sviluppare una cooperazione operativa (…) impone all’Ue di aumentare tale sostegno finanziario e logistico». E come si potrà chiedere asilo se si rimane bloccati sulle coste tunisine, egiziane o libiche? «Alle persone che vogliono richiedere protezione internazionale-, dice l’europarlamentare verde Ska Keller a Corriere Immigrazione -, sarà impedito anche solo di raggiungere i confini europei. Se sono fermate nel paese di origine o di transito, è ovvio che sarà loro precluso di presentare la richiesta di asilo in Europa». Con il suo gruppo al Parlamento europeo, Keller ha lanciato la campagna smash border (“rompere” le frontiere) in opposizione alle smart border (frontiere intelligenti) tanto care a Frattini. «Con questo progetto milioni e miliardi di euro saranno spesi per realizzare frontiere esterne ad alta tecnologia senza alcuna certezza sulla loro efficacia».
Chi, nonostante tutto, riuscisse a entrare nella Fortezza Europa, dovrà vedersela con satelliti e droni. I primi serviranno «per il controllo e la raccolta di informazioni relative a zone predefinite» mentre i secondi produrranno «immagini dettagliate sull’area interessata al momento richiesto». L’incrocio delle potenzialità dei due strumenti permetterà a Frontex, in concorso con le autorità frontaliere dei Paesi membri, di avere un’idea chiara sulla situazione e di adottare “contromisure”. Ma non si spiega, ancora una volta, quale sarà il destino dei migranti intercettati e chi si farà carico di loro.
Per gli autori di Borderline, gli unici interessati al funzionamento di Eurosur sono stati Frontex e i fornitori di tecnologia. «Le industrie fornitrici di queste sofisticate tecnologie sono i principali agenti di pressione», conferma Keller. «Il rafforzamento del controllo delle frontiere non nasce da un bisogno reale ma obbedisce a dei principi ideologici a loro volta alimentati da interessi economici. Ma l’obiettivo continua a non essere chiaro: chiedono confini più “forti” ma non specificano cosa intendano con questa espressione». Dello stesso avviso è Claire Roder, giurista dell’associazione francese Gisti, che al business della xenofobia ha dedicato un libro-inchiesta, intitolato, appunto, Xénophobie Business (La Découverte, pp. 194, 16 euro). «In cinque anni d’attività l’agenzia europea Frontex ha moltiplicato il suo budget per quindici: un’enormità in tempo di crisi!», ha detto in un’intervista pubblicata da Liberation. «Non si può fare a meno di pensare che muri, recinzioni, radar e adesso droni che coprono i confini dell’Europa, servano meno ad impedire alle persone di passare che a generare profitti di tutti i tipi: finanziari, certo, ma anche ideologici e politici».
Il secondo progetto, le “frontiere intelligenti”, è invece ancora allo studio. Da una parte esso prevede un sistema di entrata/uscita con la raccolta di dati personali e biometrici delle persone di Paesi terzi. Dall’altra, attraverso il programma Rtp (Registered Traveller Programme), un registro per facilitare i viaggiatori accreditati, che così potranno evitare le lunghe code riservate agli altri, ovvero ai “sospetti”. Ad ogni viaggiatore saranno prese le generalità, le impronte digitali e le foto segnaletiche, sia all’ingresso che all’uscita. Dal confronto, si avrà il numero degli “indesiderati” rimasti oltre la scadenza. «Questo meccanismo-, ci spiega Keller, -sarà sicuramente più utile per raccogliere informazioni statistiche su chi entra ed esce. Ma vogliamo spendere davvero 1 miliardo di euro per un database statistico? In questo modo i dati di tutti i cittadini extra-Ue saranno raccolti e forse anche utilizzati per l’applicazione della legge. Non è questa una chiara discriminazione e stigmatizzazione degli stranieri?».
Altro tema delicato, ricordano gli autori di Borderline, è quello della conservazione e trattamento dei dati personali. Secondo la legislazione Ue, è necessaria una ragione legittima per conservare le caratteristiche fisiche di una persona. Per non parlare del fatto, poi, che svariati motivi possono impedire ad una persona di uscire. A partire da un banale ricovero in ospedale. «Le “frontiere intelligenti” creeranno un sacco di costi senza avere un obiettivo chiaro-, conclude Keller. -A mio avviso, “intelligente” significa qualcos’altro».
Luigi Riccio

fonte: corriereimmigrazione

sabato 20 ottobre 2012

salute senza discriminazione


Un nuovo documento di indirizzo sull'assistenza ai cittadini stranieri verrà approvato la prossima settimana in Conferenza Stato-Regioni, con applicazione immediata. Stabilisce che i minori non comunitari dovranno avere il pediatra di base, come i bambini italiani. La parte che riguarda i figli di genitori senza permesso di soggiorno è la più qualificante di un documento che ha come radice leggi già esistenti e le chiarisce in modo chiaro per uniformare l'assistenza. Attualmente solo l'Umbria, e in parte la Puglia, prevedono questo meccanismo. Altrove i figli degli irregolari vengono sballottati tra consultori, ambulatori per adulti e altri servizi. In ogni caso non vengono seguiti da un unico medico. Il documento garantisce inoltre un percorso sicuro ai rom «in fragilità sociale», cioè gli anziani. http://www.statoregioni.it

venerdì 19 ottobre 2012

comunicato stampa medu

su chiusura cie lamezia terme

MEDU esprime soddisfazione per la chiusura del Cie di Lamezia Terme, visitato solo poche settimane fa e ritenuto del tutto inadeguato a garantire condizioni di vita dignitose alle persone trattenute (vedi foto racconto).

MEDU auspica che la chiusura provvisoria diventi definitiva e che il Ministero dell'Interno accolga la proposta del sindaco di Lamezia Terme di riconvertire quello che è stato fino ad oggi un luogo di esclusione, in un luogo di solidarietà e integrazione per i migranti. MEDU auspica altresì che la chiusura del Cie di Lamezia Terme rappresenti il primo passo verso il superamento di un sistema, quello della detenzione amministrativa, che si è dimostrato nel corso degli anni del tutto inefficace nel contrastare l'immigrazione irregolare ed incapace di tutelare la dignità e i diritti fondamentali dei migranti trattenuti, che in un paese civile e democratico dovrebbero sempre essere garantiti.

Medici per i Diritti Umani (MEDU) onlus è una organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale, senza fini di lucro, indipendente da affiliazioni politiche, sindacali, religiose ed etniche. Dal 2004 MEDU porta avanti il programma “Osservatorio sull’assistenza socio-sanitaria per la popolazione migrante nei CPTA/CIE”. MEDU aderisce alla campagna LasciateCIEntrare.

Hanno chiuso il Cie di Lamezia Terme

da repubblica.it

 E' statol svuotato e sono stati messi i sigilli per decisione della Prefettura di Catanzaro, su disposizione del Viminale. Era gestito dalla cooperativa Malgrado Tutto 1, al centro di interrogazioni parlamentari, dopo la denuncia di violazioni del team di Medici per i diritti umani 2 che aveva trovato:  una gabbia in cui rinchiudere le persone che volevano farsi la barba 3, un disabile che faceva fisioterapia con una bottiglia d'acqua legata al piede e una cella di isolamento terapeutico chiusa da lucchetti e filo spinato

ROMA - Svuotato e chiuso. E' quanto ha deciso il ministero dell'Interno per il centro di identificazione e di espulsione di Lamezia Terme (Cz), gestito dalla cooperativa Malgrado Tutto 4 e al centro di molte polemiche e interrogazioni parlamentari, dopo la denuncia di violazioni dei diritti umani dei migranti trattenuti. Il team di Medici per i diritti umani 5 (Medu) aveva infatti trovato nella struttura: una gabbia in cui rinchiudere le persone che volevano farsi la barba 6, un disabile che faceva fisioterapia con una bottiglia d'acqua legata al piede e una cella di isolamento terapeutico chiusa da lucchetti e filo spinato. La prefettura di Catanzaro conferma che sabato 20 ottobre il Cie sarà chiuso.

Al momento nessun nuovo bando. Per il momento non viene indetto un nuovo bando di gara e non è certo che la struttura rimanga un Cie. Ufficialmente la motivazione della chiusura è la mancanza di un ente gestore. Lo scorso 22 giugno è fallita la gara di appalto, alla quale aveva partecipato solo la cooperativa Malgrado Tutto, attuale gestore e anche proprietario della struttura. Il Cie è costruito su un suolo di proprietà del comune dato in comodato d'uso alla cooperativa per 99 anni, ma gli edifici sono di Malgrado Tutto. La cooperativa non si è aggiudicata l'appalto perché parte della documentazione presentata era irregolare per problemi con la concessione edilizia. Al di là del fatto che questa situazione venga sanata, il ministero per ora non ha deciso di indire una nuova gara per la gestione. Di fatto, da giugno a oggi il Cie ha funzionato senza appalto, con i relativi problemi di fondi.

I migranti non sono stati rilasciati. Alcuni sono stati rimpatriati. Fra loro, una persona disabile con una protesi ad un'anca per una grave infezione contratta prima di entrare nel Cie. L'uomo, fotografato dai Medu mentre faceva fisioterapia improvvisata con una bottiglia d'acqua, è stato rimpatriato in Marocco contro la sua volontà e nonostante le precarie condizioni di salute. Gli altri saranno internati in altri Cie, tra cui quello di  Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, riaperto da poco tempo, al termine di una chiusura di due anni per i danni provocati dalle rivolte. L'Ong Medu esprime "soddisfazione per la chiusura del Cie di Lamezia Terme, visitato solo poche settimane fa e, come rilevato dal team Medu, del tutto inadeguato a garantire condizioni di vita dignitose alle persone trattenute". E auspica che la chiusura provvisoria diventi definitiva e che il Ministero dell'Interno accolga la proposta del sindaco di Lamezia Terme di riconvertire quello che è stato fino ad oggi un luogo di esclusione, in un luogo di solidarietà e integrazione per i migranti.

"Deve essere il primo passo". In una nota, Medu "auspica altresì che la chiusura del Cie di Lamezia Terme sia il primo passo verso il superamento di un sistema, quello della detenzione amministrativa, che si è dimostrato nel corso degli anni del tutto inefficace nel contrastare l'immigrazione irregolare ed incapace di tutelare la dignità e i diritti fondamentali dei migranti trattenuti, che in un paese civile e democratico dovrebbero sempre essere garantiti" . Le denunce dei Medici per i diritti umani, seguono quelle fatte nel 2010 da Medici senza frontiere 7 che già allora ne aveva chiesto, inascoltata, la chiusura al Viminale. Molte le voci di protesta che si erano levate dopo la diffusione della foto della 'gabbia per radersì inventata dall'ente gestore, tra cui quella del sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza. Numerose le interrogazioni parlamentari presentate per chiedere spiegazioni e la chiusura al ministero dell'Interno, da quella di Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato, a quella depositata da sei deputati radicali eletti tra le file del PD. Una è arrivata anche alla Commissione europea, da parte della Presidente della commissione antimafia europea Sonia Alfano.

(19 ottobre 2012)

domenica 14 ottobre 2012

regolarizzazione truffa...ancora una volta ci rimettono i soliti

il rischio di un flop clamoroso e una drammatica reltà di truffe e raggiri. a tre settimane dall'avvio sono 74.172 i moduli compilati alle ore 18 del 7 ottobre attraverso il sistema informatico del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno nell'ambito della cosiddetta “regolarizzazione”. I moduli inviati sono invece sinora 64.956. Tra i moduli inviati, 57.180 riguardano datori di lavoro domestico e 7.776 datori di lavoro subordinato in altri settori contro le 300mila attese. Troppo complessa la procedura, troppo alti i paletti economici e rigidi i criteri per dimostrare la effettiva permanenza nel nostro paese, ostacoli che paventano il fallimento dell’operazione.


ma il lato peggiore di questa procedura svela centinaia di truffe, raggiri ed estorsioni ai danni di altrettanti cittadini che necessitano di emergere da una brutale clandestinità. è grazie alla campagna "informati per evitare di essere truffato" abbiamo raggiunto decine di cittadini stranieri offrendo loro una corretta informazione ma anche cercando di mettere in luce le richieste improprie di soldi in cambio dei documenti. i costi raggiungono anche gli 8000 euro, per ottenere un soggiorno al mercato nero...con la completa inconsapevolezza degli stranieri che altro non sono che vittime inermi.

in questo modo siamo venuti a conosenza di questa cooperativa e abbiamo deciso di svelare il lato marcio di questa operazione.....

sarebbe importante stanare le truffe ricoscendo come vittime i cittadini che vi sono incappati, scrivendo così in parte un lieto fine per molti che altrimenti ritornerebbero nell'oblio.

quiebraley
action

video a telecamera nascosta di un tentativo di truffa: Sanatoria a 5 mila euro a cura di pubblico e quiebraley Action

lunedì 2 aprile 2012

ANCORA UN COLPO D'ACCETTA ALLA BOSSI FINI

LA CASSAZIONE DICHIARA ILLEGITTIMO IL MAXI-DIVIETO DI INGRESSO NELLA UE E OBBLIGA A DISAPPLICARE NORME CHE LO IMPONGONO PER 10 ANNI

Ansa

ROMA, 2 APR - Non devono essere applicate, dai giudici, le norme sull'immigrazione che vietano per un periodo di tempo - da cinque a dieci anni - il reingresso in Italia di chi è stato rimpatriato perchè privo di documenti. Al massimo, il divieto può protrarsi per cinque anni e non oltre. Lo sottolinea la Cassazione ordinando l'immediata scarcerazione di un dominicano fermato a Napoli nel marzo 2011 in quanto privo di autorizzazione al reingresso dopo l'espulsione nel luglio 2004. Ad avviso dei supremi giudici, un divieto di ingresso superiore ai cinque anni, nell'estensione massima, è in contrasto con la direttiva comunitaria sui rimpatri, la stessa che ha messo fuorilegge - con la nota pronuncia 'Al Dridì della Corte Ue di giustizia - il reato di clandestinità. In proposito, la Cassazione osserva (sentenza 12220) che la direttiva comunitaria 115/2008, sull'immigrazione, dispone - all'art. 11, paragrafo due - che «la durata del divieto di ingresso è determinata tenendo conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera i cinque anni». «È di tutta evidenza, allora - aggiunge la Suprema Corte - come si ponga in insanabile contrasto con la vincolante direttiva europea la normativa italiana, art. 13 d.l.vo 286/98, che pone il divieto di reingresso per dieci anni e, comunque, per un tempo non inferiore ai cinque anni». Nel caso in questione, si rileva che S.S. ha fatto rientro in Italia ben dopo cinque anni dall'espulsione, per cui, deve essere «doverosamente disapplicata la normativa interna» e l'imputato «deve essere assolto perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato».

Il 90% dei richiedenti asilo sono clandestini in Europa

E' necessario operare una drastica inversione di tendenza! 
Già con la campagna sud abbiamo denunciato la condizione di duemila schiavi della campagna, rifugiati irregolari perchè destinatari di un ingiusto diniego alla richiesta di protezione internazionale...è probabilmente la punta dell'iceberg!! 
Oggi le posizioni dei 2mila migranti sono al vaglio del governo italiano, grazie alla battaglia costruita negli ultimi due anni e alle numerose denuncie fatte dalla tante associazioni che hanno operato su territori come rosarno, foggia, castelvolturno.

venerdì 30 marzo 2012

SULL'ITALIA L'ONTA DI 63 MIGRANTI MORTI. IL CONSIGLIO D' EUROPA RICOSTRUISCE AGONIA BARCONE A DERIVA NEL 2011

di Marisa Ostolani (ansa)

BRUXELLES, 29 MAR - La morte per fame e sete di 63 migranti al largo della Libia in un barcone alla deriva diventato la loro tomba, ha molti colpevoli, ma l'Italia è un pò più colpevole di altri. «Come primo Stato ad aver ricevuto la chiamata di aiuto e sapendo che la Libia non poteva ottemperare ai propri obblighi, l'Italia avrebbe dovuto assumere la responsabilità del coordinamento delle operazioni di soccorso»: accusa il rapporto del Consiglio d'Europa, presentato oggi a Bruxelles. Per quella tragedia - avvenuta a fine marzo 2011, in pieno conflitto libico - «siamo di fronte ad un catalogo di fallimenti e responsabilità collettive», ha denunciato la relatrice, l'olandese Tineke Strink, ricostruendo l'agonia del 'vascello lasciato morirè da navi ed elicotteri sotto comando Nato e di singoli paesi, tra cui Francia, Italia, Spagna e Cipro.

mercoledì 28 marzo 2012

RAPPORTO SULL'ASILO NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI

L'italia è diventato un paese ue non sicuro per i richiedenti la protezione intarnazionale. l'ingresso è la possibilità di soggiornare regolarmente dipendono da leggi di propaganda che cambiano con il colore del governo. la richiesta d'asilo è l'unica possibilità che si ha per entrare in europa e quindi diventa la possibilità di accesso alla vita per migliaia di persone. ecco perchè siamo in questa condizione. ripristiniamo il visto "sponsor" per la ricerca di un lavoro come strumento di ingresso regolare. in questo modo fermeremo le morti nel mediterraneo e spazzeremo via le organizzazioni criminali del traffico degli esseri umani.
dal sito de unhcr.it

Ginevra, 27 marzo 2012 - I nuovi conflitti e il crescente flusso in uscita da alcune crisi di più vecchia data - come quella in Afghanistan – hanno contribuito all'aumento del 20% nel numero di domande d'asilo registrato nel 2011. È quanto emerge dal rapporto sull'asilo nei paesi industrializzati pubblicato oggi dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). 

domenica 25 marzo 2012

Tunisia, il racconto dei profughi ricacciati in mare dall'Italia

Da repubblica.it
CAMPO DI SHOUSHA (Tunisia) - Da maggio 2009 circa 2000 immigrati sono stati intercettati nel Mar Mediterraneo dalle navi italiane e respinti in Libia. La maggioranza di questi erano richiedenti asilo provenienti da paesi in guerra. Molti di loro sono finiti a Shousha, un campo profughi al centro del deserto tunisino. A poche settimane dalla condanna che la Corte Europea dei Diritti dell'uomo ha inflitto all'Italia per questi respingimenti,  le condizioni del campo di Shousha e delle migliaia di persone che vi risiedono sono oggi al centro di un'inchiesta pubblicata su FaiNotizia , il sito di citizen journalism di Radio Radicale.

Ospiti gli ex immigrati in Libia. Gestito dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati  (Unhcr), Shousha Camp, si trova a 7 chilometri dalla Libia: ospita più di 3300 persone ed è stato aperto il 24 febbraio 2011. E' cofinanziato dal governo italiano, in seguito agli accordi stipulati tra l'allora Ministro Dell'Interno Roberto Maroni e il governo provvisorio tunisino tra febbraio e aprile 2011. A Shousha, dopo lo scoppio della crisi libica, hanno trovato rifugio persone provenienti da Ciad, Nigeria, Iraq, Eritrea e Sudan che prima della guerra erano emigrate in Libia in cerca di lavoro.

Situazione agghiaccianti e cibo insufficiente.
Le condizioni del centro sono agghiaccianti, come emerge dalle immagini di FaiNotizia. A mancare sono di frequente anche l'acqua potabile e l'acqua calda, e ciò costringe la maggior parte dei profughi a fare a meno delle docce per giorni. Una situazione di forte disagio, dunque, ulteriormente peggiorata dalle tempeste di sabbia che spesso spazzano il campo.

Le accuse all'UNHCR. Shousha, nato come "Transit Camp", rischia di trasformarsi in un accampamento permanente anche per la presenza di chi ha ottenuto lo status di rifugiato e non ha i mezzi per andarsene. A ciò si aggiunge la denuncia dei profughi dalla Nigeria, che non possono tornare né nel paese d'origine né in Libia. Sebbene l'Unhcr avesse assicurato la segretezza delle loro dichiarazioni e dei dossier relativi, alcuni rappresentanti della comunità nigeriana raccontano di essere stati testimoni, nel settembre 2011, di una collaborazione tra l'ambasciatore nigeriano e l'Unhcr nell'analisi e valutazione dei casi. Nel loro appello, i nigeriani denunciano sia l'agenzia dell'Onu che l'ambasciatore il quale, essendo il rappresentante del paese da cui sono stati costretti a scappare, difficilmente darà mai credito alle loro testimonianze.

La replica dell'Alto Commissariato Onu.
L'Unhcr nega però tutte le accuse: "Non siamo a conoscenza della visita di alcun ambasciatore nigeriano a Shousha - dichiara Rocco Nuri, funzionario responsabile di Shousha, interpellato da FaiNotizia - i nostri dossier sono sempre segreti e restano tali anche in caso di diniego". Alla luce delle immagini e delle testimonianze diffuse da FaiNotizia, i senatori Emma Bonino e Marco Perduca hanno già annunciato un'interrogazione al Ministro degli Esteri sulla gestione e i finanziamenti italiani a Shousha, che è anche il set del documentario "Mare Chiuso" di prossima uscita nelle sale.
(14 marzo 2012)

Diritto di scelta! obiettivo 7000 firme

Consegnata alla Cancellieri la richiesta di incontro. Rilanciamo la sfida: obiettivo 7.000 firme!

Oltre quaranta amministratori, centinaia di associazioni, musicisti, attori, docenti, avvocati e migliaia di volontari chiedono alla Cancellieri un permesso umanitario

Un permesso umanitario per i profughi fuggiti lo scorso anno durante il conflitto libico. Tutele, garanzie, diritti, affinché possano essere sottratti al destino di irregolarità a cui i responsi negativi delle commissioni territoriali rischiano di consegnarli.
Una questione di dignità, di democrazia e di giustizia.
Per discutere di questo e per arrivare nell’immediato ad una soluzione della vicenda, la "Campagna Diritto di scelta" ha consegnato formalmente mercoledì 21 marzo la richiesta di incontro alla Ministra dell’Interno Cancellieri. Sono stati il Sindaco De Magistris e l’assessore del comune di Napoli Sergio D’Angelo a farsi carico della consegna a nome di tutta la "campagna" durante la visita della Cancellieri a Napoli, dopo aver sottoscritto con l’Assessore Lucarelli ed altri quaranta amministratori di tutto il Paese la nostra petizione.
A sostenere la campagna hanno contribuito in questi mesi Gino Strada, Ascanio Celestini, Maurizio Landini, Sabina Guzzanti, Elio Germano, Moni Ovadia, Nichi Vendola, Paolo Ferrero, Don Gallo, Giuliana Sgrena, Don Ciotti, Padre Alex Zanotelli, Filippo Miraglia, Guido Vialle, Pietro Soldini e, cosa ancora più importante, migliaia di operatori, attivisti, volontari, singoli cittadini, che in questo anno si sono fatti carico dell’accoglienza di migliaia di migranti toccando con mano le scelte inadeguate messe in campo dal precedente governo.
Questa del rilascio di un permesso umanitario ai profughi provenienti dalla Libia è allora una sfida che lanciamo all’attuale esecutivo perché la discontinuità con quello che lo ha preceduto si misura, non tanto nei toni pacati e sobri con cui si tratta il tema dell’ immigrazione, ma nelle azioni concrete.
Ora, in attesa che dal Viminale arrivino notizie sulla alla data dell’incontro per costruire insieme ai tanti firmatari la delegazione non resta che rilanciare la sfida:
OBIETTIVO 7.000 FIRME!

Sottoscrivete e fate circolare il testo dell’appello!
- La petizione, le firme, i video appelli ed i materiali sulla campagna
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MP - Diritto di scelta - Petizione per il rilascio di un titolo di soggiorno ai richiedenti asilo provenienti dalla Libia

MP - Diritto di scelta - Petizione per il rilascio di un titolo di soggiorno ai richiedenti asilo provenienti dalla Libia

Sottoscrivete l’appello, diffondetelo. Mobilitiamoci in ogni città!

NEL 2011 SALITE A 301MILA LE DOMANDE DI ASILO NELLA UE

Nel 2011 sono salite a 301mila le domande di asilo nell'Ue, rispetto alle 259mila del 2010. L'Italia è il terzo Paese con il maggior numero di richieste, dietro Francia e Germania: sono state 34.100 le persone che hanno chiesto asilo in Italia, mentre sono state 56.300 in Francia e 53.300 in Germania. Sono le cifre rese note da Eurostat, l'Ufficio statistico dell'Unione europea. Di queste domande, il 90% è stato inoltrato da nuovi richiedenti, mentre il 10% da persone che avevano già fatto richiesta precedentemente. A chiedere asilo in Ue l'anno scorso sono stati principalmente afghani (28.000 persone, pari al 9% del totale), russi (18.200 pari al 6%), pachistani (15.700 pari al 5%), iracheni (15.200 pari al 5%) e serbi (13.900 pari al 5%). In Italia, invece, i Paesi di origine prevalenti di chi ha chiesto asilo sono stati Nigeria (6.210 o 18%), Tunisia (4.560 o 13%) e Ghana (3.130 o 9%). I Paesi che rispetto alla propria popolazione hanno ricevuto invece il più alto numero di richieste di asilo sono stati Malta (pari 4.500 richieste per milione d'abitanti), Lussemburgo (4.200), Svezia (3.200), Belgio (2.900) e Cipro (2.200). L'Italia, in base a questo criterio proporzionale, ne registra appena 565, la Francia 865 e la Germania 650.

Ma si deve notare che nel 2011 ben il 75% delle richieste di asilo nell'Ue è stato respinto e solo il 12% accettato, mentre al 9% è stata accordata protezione sussidiaria e al 4% l'autorizzazione a rimanere per ragioni umanitarie. La fortezza Europa continua a innalzare un muro contro l'immigrazione, destinando alla clandestinità migliaia di persone, che rimarranno invisibili sul nostro continente.

Mentre l'Italia viene giudicata paese non sicuro, per i soggetti bisognosi di protezione, da alcuni paesi del nord europa, la comunità europea nel suo insieme continua a disattendere le norme più elementari volte alla tutela dei diritti umani. I migranti continuano a essere respinti dalle nostre coste e destinati all'oblio...e chi ha la fortuna di poter toccare suolo europeo nel migliore dei casi diventerà un fantasma.

venerdì 16 marzo 2012

kadjaly, un’identità strappata

Abbiamo scelto questa storia per cominciare perché rappresenta un esempio di ricostruzione, un esempio di come dalla tragedia si possa ripensare ad un futuro e riprogettare la propria vita, ma che a volte si scontra con un dolorosissimo destino. Un destino infame.

Questa è la storia di kadjaly, un ragazzo morto a soli 28 anni.

KADJALY KANTE  nasce in Senegal, il 6 gennaio del 1983. Decide di lasciare il suo paese a soli 23 anni. La voglia di una vita migliore e di libertà ma anche la paura,  lo costringono nel 2006 a lasciare la sua terra. Come tanti alla sua età.
Fuga. All’ epoca  il giovane kadjaly si trova in una condizione di grave disagio economico e sociale, in un paese, alla soglie delle elezioni presidenziali, trafitto da guerre di potere, scontri e rappresaglie tra il governo uscente e l’opposizione. Un clima sociale complicato che ti toglie il respiro. Libertà e democrazia sempre messe in discussione, in un paese in cui la politica democratica trova, anche se solo sulla carta, agibilità nel 1974. Perché l’indipendenza politica dai regimi coloniali, come in molti stati africani, non determina di certo libertà democratica ma l’avvento di governi corrotti, propaggini degli interessi economici dell’occidente. Terreno fertile per le crisi sociali che in Senegal costringono migliaia di profughi a fuggire dalle condizioni di vita che impongono a migliaia di uomini e donne un destino fatto di miseria e di privazioni. Kadjaly tenta di opporsi organizzandosi assieme ad altri. Ma la repressione è dura e il governo impone ordine, anche a costo della vita di centinaia di oppositori.
In Libia. Da tutto ciò decide di fuggire, lasciando la sua famiglia, la sua storia. Il tragitto è obbligato e il viaggio lo porta in Libia. Ma il progetto migratorio è ambizioso e l’Europa non è di certo dietro la porta. Dovrà lavorare duramente come manovale per una ditta turca. Sfruttato e sottopagato, e dei 50 dinari che guadagna al giorno (circa 28 euro), conserva ogni centesimo utile per poter pagare la traversata della libertà. Pensa all’Italia, continuamente. In Libia il suo soggiorno però è difficile. Qui deve fare fronte alle discriminazioni dei cittadini libici. Ma soprattutto è difficile perché “quelli”, i guardiani del regime odiano i neri. Li fermano per strada, li arrestano li torturano in prigione. Capita spesso che il governo di Gheddafi proceda a respingerli, rinviandoli verso i paesi di provenienza.  Dal 2005 si documentano tragedie indescrivibili nel deserto del sahara di decine di migranti che hanno perso la vita dopo il respingimento verso il Niger. Gli immigrati espulsi vengono scaricati al confine libico dai camion militari sulla rotta che da Al Gatrum, ultima oasi libica che porta a Madama e a Dao Timmi, avamposti militari della repubblica del Niger che distano dalla frontiera libica circa 80 kilometri. Molti sono costretti a proseguire a piedi, lasciati dai trafficanti in mezzo al deserto, su questa rotta di colline e avvallamenti dove non c’è altro e dove ci si orienta solo con il sole e con le stelle.  Si può morire e molti sono morti. Kadjaly che conosce bene queste storie, ha paura e quando viene arrestato dalla polizia libica e trattenuto tre mesi in condizioni igienico sanitarie pessime senza subire un processo o avere diritto alla difesa, prega tutti i giorni. “mi hanno fermato mentre andavo a lavorare, insultandomi e malmenadomi”. Kadjaly paga 300 dollari ad un poliziotto corrotto che lo fa evadere. Egli stesso racconta questa esperienza in lacrime, quasi volesse cancellarla, ma le lacrime che versa gli ricordano che anche tutto questo è parte di sé e della sua vita.
Mata. Il suo ricordo tenero va alla sorellina, Mata , lasciata lì per rincorrere un’ideale di vita. Se ne ricorda sempre in Libia, e guarda con affetto le foto che li ritraggono insieme. “ho avuto paura per me per la mia vita, non potevo più rimanere lì. E so che non ho avuto il coraggio di difendere la mia libertà e la mia dignità”. Quasi una giustificazione dell’abbandono di tutto ciò a cui era legato, quasi come se qualcuno di loro, dei suoi familiari, potesse sentirlo e avere benevolenza nei suoi confronti. Un senso di colpa lo assale, all’improvviso scorgendo nel suo volto tristezza e sconforto. Ma l’Europa è sempre più vicina e la voglia di riscatto gli impone di andare avanti. Tiene duro sino a quando, dopo quasi due anni, alla fine del 2008, non riesce a racimolare il danaro necessario per “imbarcarsi”.
Verso l’Europa. Mahmud e Zaray. I nomi dei suoi traghettatori. Due cittadini libici che si fanno consegnare circa 1500 dollari per imbarcarlo sul “barcone”. È il 25 dicembre del 2008 quando riesce a salpare con altre 65 persone da Zouara. Un luogo da cui partono le rotte dei cosiddetti “disperati”. Sono i trafficanti a curare gli aspetti e le partenze da questa piccola città della costa libica. Migliaia di profughi e rifugiati raccontano di essere stati rinchiusi nelle piccole costruzioni a ridosso della spiaggia per giorni e giorni prima di poter partire. Un trattamento disumano, ma anche un vero e proprio business per gli scafisti. Dai 500 ai 2000 dollari per ogni singola traversata. Il viaggio è rischioso, l’imbarcazione regge a malapena le onde alte di quei due giorni di mare aperto. Si perché il “mare di mezzo” ha inghiottito centinaia di miranti. Negli ultimi 15 anni sono annegate più di 8000 persone, nel tentare di espugnare la fortezza Europa. Sono i morti invisibili a cui nessuno potrà mai dare un nome. Sono i morti della speranza. Ma è la stessa speranza di approdare nel vecchio continente fa da scudo alla paura. Paura di morire.
Il nuovo mondo. Il 27 dicembre approdano in una piccola isola. Lampedusa. La porta dell’occidente. C’è tanta polizia ad aspettarli. Sono tutti esausti e congelati dal freddo. Ma lui sa già cosa fare. “asilo asilo” grida con le sue ultime forze. Sa che quelle parole sono la sua salvezza. Non sa perché ma è consapevole che chiedere la protezione lo aiuterà ad evitare un rimpatrio immediato, lì da dove è fuggito. Luci e colori lo accecano, le parole dal megafono di un solerte poliziotto davvero non le capisce. Segue gli altri che si mettono in fila per ricevere acqua e una coperta. Nel giro di poche ore viene trasferito in quella che poi lui saprà essere la capitale d’Italia: Roma. Viene ospitato in un grande centro di accoglienza alla periferia della città in un posto chiamato Castelnuovo di Porto. È difficile vivere lì. “siamo tanti, dormivo in camera con altre 10 persone, l’acqua per lavarmi era sempre fredda, e il cibo era davvero immangiabile molte volte”.
Rosarno. La domanda d’asilo di kadjaly viene esaminata tra le tante. Un esame superficiale e inadeguato che gli frutterà un diniego e un decreto di immediato allontanamento dal territorio. Un pezzo di carta incomprensibile per lui, scritto in un linguaggio talmente difficile che fa fatica anche a farselo spiegare. Ma capisce subito che non è andata come sperava. È costretto a lasciare il centro dove è stato accolto per nove mesi, e con le sue poche cose va verso la stazione dei treni. Adesso pensa che deve trovare subito un lavoro e mandare i soldi alla sua sorellina, la piccola Mata. Gli parlano subito di Rosarno, un luogo dove poter sicuramente lavorare, dove ci sono pochi controlli, dove forse poter stare al sicuro. È il 29 ottobre quando prende il treno, grazie alla caritas che gli aveva regalato un biglietto. Si stabilisce in un appartamento in via Umberto I. una casa malmessa dove gli chiedono 50 euro al mese per un posto letto. Vi trova altre 30 persone, che come lui tentano di lavorare e mandare un po di soldi a casa. Trova lavoro quasi subito, come bracciante nella raccolta dei mandarini. È davvero faticoso. “dovevo raccogliere almeno 30 cassette di mandarini al giorno altrimenti non mi pagavano”. “guadagnavo 25 euro e lavoravo quasi 9 ore al giorno”.  Racconta di Rosarno come un incubo “venivo continuamente ingiuriato e malmenato da ragazzini sul motorino”. Ricorda il Senegal, la sua casa, e ricorda che la dignità perduta nel suo paese africano, lo aveva spinto ad affrontare un viaggio per ricostruire il futuro. Non poteva ancora soccombere, non lo poteva permettere. E già nell’aria c’è il malcontento per quelle condizioni. Non faceva altro che parlarne con i suoi amici e quando si catena la rivolta per quei due ragazzi presi a fucilate, lui decide di urlare la sua rabbia. Scende insieme agli altri in strada, fianco a fianco a suoi fratelli. “non ci possono trattare così non siamo animali”. Ma la reazione dei cittadini è dura. Viene picchiato ad un angolo della nazionale. Preso a bastonate per aver osato alzare la testa. La paura prende il posto dell’adrenalina e corre a casa. Si nasconde. Ha paura. Ma la polizia lo scova due giorni dopo e lo obbliga a partire.
Un viaggio senza ritorno. Costretto nuovamente a fuggire arriva a Roma il 14 gennaio assieme a centinaia di suoi fratelli. Dorme alla stazione Termini per giorni. Incontra decine di attivisti e decide di lottare perché quello che è successo “non è giusto”. Kadjaly insieme ai suoi fratelli inizia una lotta per ottenere un permesso di soggiorno. Denuncia tutto quello che gli è successo e aiuta gli altri a farlo. Li convince che è giusto riappropriarsi della dignità. Partecipa a decine di assemblee e altrettante manifestazioni. Chiede i documenti, una identità. Chiede di essere cittadino e vuole giustizia. Torna anche a Rosarno dopo un anno e ripercorre quelle strade a testa alta, partecipando alla manifestazione dell’anniversario della rivolta. Torna da cittadino libero dalla clandestinità, perché nel frattempo il governo ha deciso di rilasciargli i documenti.  Ma è troppo tardi. Non farà mai in tempo a ritirare quel pezzo di carta perché il suo destino è già segnato da un epilogo infame. Kadjaly muore sabato 2 aprile dopo due settimane di coma. Lo uccide una meningite, conseguenza delle condizioni di vita disumane che è stato costretto a subire.
La sua vita è stata strappata..per sempre