A dispetto delle aspettative e delle speranze
suscitate dal dibattito che ne aveva preceduto l’introduzione, è negativo il
bilancio della normativa anti-caporali e della cosiddetta legge-Rosarno, il
decreto legislativo di recepimento della direttiva europea sullo sfruttamento
lavorativo.
La legislazione risulta parziale, farraginosa,
fumosa e al limite dell’inapplicabilità e per il momento sul fronte della
disciplina dell’immigrazione e della lotta alla nuova schiavitù in agricoltura,
non ha prodotto i frutti sperati. Nell’agosto 2011, l’articolo 12 del decreto legislativo 138 ha introdotto
l’articolo 603/bis nel codice penale, che punisce l’intermediazione illecita e
lo sfruttamento del lavoro. Da allora sono arrivate solo circa 80 di
segnalazioni alla magistratura, ed è scattata 1 sola inchiesta autonoma basata
sulla nuova fattispecie di reato, quella della procura di Palmi che ha portato
a quattro arresti lo scorso maggio.
Mentre sembra non siano stati ancora rilasciati
permessi di soggiorno ai sensi del decreto legislativo 109 del luglio 2012, che
introduce appunto una tutela per i migranti irregolari che decidono di
denunciare la grave condizione di sfruttamento a cui vengono sottoposti dai
propri datori di lavoro. Per il futuro si impone una seria riflessione sugli obiettivi e sulle strategie da adottare per
rendere efficace la lotta allo sfruttamento etnico, per evitare che provvedimenti tampone dalla scarsa
incisività siano il solo risultato di una lunga lotta, i cui sostenitori
crescono comunque nel nostro Paese. Va detto, non tutto è da buttare. Sarebbe
un errore liquidare le nuove normative con un colpo di spugna. Bisogna imporre
una revisione che sia però orientata
molto meno dalle sirene mediatiche e molto più dalle concrete esigenze che emergono nell’applicazione delle norme, nel
rispetto dello spirito che ha animato l’adozione di queste leggi.
Uomini o
caporali.
Nell’estate 2011 a Nardò nel Salento i migranti
stagionali impiegati nella raccolta dei pomodori incrociano le braccia. Uno
sciopero a oltranza contro lo sfruttamento dei padroni e dei caporali, per la
sopravvivenza e per i diritti di cittadinanza. Dopo la rivolta di Rosarno del 7
gennaio 2010 la tematica è entrata di diritto nell’agenda politica, se non
altro perché gode di un certo appeal mediatico. Nei mesi precedenti la Cgil aveva presentato una proposta di legge anti-caporalato,
chiedendo a gran voce l’inasprimento della pena per l’intermediazione illecita
e lo sfruttamento nei campi e nei cantieri, ma anche tutele per i migranti che denunciano. È ancora in auge il governo
Berlusconi e il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi fa notare che una legge
contro i caporali esiste già, dal 2003. Che evidentemente quelle norme servano
a poco appare incontestabile in quell’estate di fuoco in una Puglia che ritrova
lo spirito d’un tempo. Si arriva così al citato decreto legislativo dell’agosto
2011 e all’introduzione dell’articolo 603/bis del codice penale. È chiaro che
tutto ruota attorno a due nodi: cosa si debba intendere per sfruttamento, quali
le garanzie da riconoscere al migrante irregolare. Sulla prima questione la
norma è all’avanguardia, facendo riferimento a indici di sfruttamento
inequivocabili: sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente
difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto
alla quantità e qualità del lavoro prestato; sistematica violazione della
normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa
obbligatoria, alle ferie; sussistenza di violazioni della normativa in materia
di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a
pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale; sottoposizione
del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni
alloggiative particolarmente degradanti. È chiaro che, stando a tali criteri,
ogni migrante che lavora nelle campagne italiane è sfruttato. È sulla seconda
questione che si gioca però la partita: occorre un incentivo per favorire le
denunce, far emergere le situazioni di sfruttamento e dunque sanarle. La
richiesta di introdurre una protezione per motivi di giustizia non passa. È una
questione di buon senso: la parte più vulnerabile, cioè il migrante irregolare,
deve poter percepire come non velleitaria la possibilità di collaborare con le
autorità. Nessuno straniero senza documento si avvicinerebbe di sua spontanea
volontà a un commissariato o a una caserma per denunciare il caporale senza la
garanzia di poter godere del diritto di soggiorno. E in effetti quasi nessuno
denuncia appunto perché rischierebbe l’espulsione.
Le
strette maglie dell’articolo 18.
Fino all’introduzione della cosiddetta legge
Rosarno, solo l’articolo 18 del decreto legislativo 286 del 1998, poi confluito nel Testo unico
sull’immigrazione, ha previsto la concessione di un permesso di soggiorno per
motivi di protezione sociale per le vittime di sfruttamento. Si tratta di una
norma calibrata per contrastare la tratta delle schiave del sesso e consentire
alle prostitute di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti
dell’organizzazione criminale che le gestisce. L’esistenza di un’associazione
ben individuata è infatti un presupposto dell’applicazione della norma, che
nell’individuare i soggetti da tutelare prevede inoltre il sussistere di situazioni di violenza o di grave sfruttamento e il potenziale pericolo in caso di allontanamento
volontario dal contesto criminale.
Per tali motivi, di fronte ai casi di
sfruttamento sul lavoro la norma ha dato adito a una notevole difformità interpretativa. Solo
raramente l’applicazione della fattispecie è stata estesa ai casi di servaggio
nelle campagne e, così come previsto dall’articolo 18, il procuratore che ha
ricevuto la denuncia ha provveduto a richiedere al questore il rilascio del
permesso di soggiorno e il rigetto della richiesta di rinvio a giudizio per il
reato di permanenza illegale. Una procedura oltremodo discrezionale, applicata
col contagocce. Nella maggioranza dei casi, pur in presenza di grave
sfruttamento, minacce, violenze, non è stata ravvisata l’esistenza di
un’organizzazione stabile né una situazione di pericolo ai danni del
denunciante. Un’interpretazione restrittiva che di certo non ha
favorito l’emersione delle situazioni di sfruttamento: il migrante irregolare
che si è rivolto alla giustizia non ha ottenuto l’assunzione o il risarcimento
ma solo la schedatura delle proprie impronte digitali e un foglio di via.
Un
pasticcio sul filo di lana.
Ecco perché il movimento antirazzista ha riposto
grandi speranze nel recepimento della direttiva
europea 52/2009 sulle sanzioni e sui provvedimenti da applicare nei
confronti dei datori di lavoro che sfruttano cittadini extracomunitari in
condizione irregolare, che fa appunto riferimento alla concessione della protezione umanitaria in caso di denuncia. Ma per
lunghi anni la risposta del governo italiano è stata il silenzio. Tanto che il
20 luglio 2011 la Commissione europea si è vista costretta ad avviare una procedura di infrazione (843/11) a
carico dell’Italia per il mancato recepimento (a due anni dalla promulgazione)
della direttiva. Solo con la crisi di governo e la nascita dell’esecutivo Monti
la questione viene finalmente affrontata, per trovare soluzione il 16 luglio
2012, a quasi un anno dall’avvio della procedura d’infrazione e con una
sanzione in vista. Il decreto
legislativo 109 del 2012, varato in tutta fretta e ribattezzato legge
Rosarno, recepisce dunque la direttiva europea sullo sfruttamento e
prevede finalmente una tutela per l’irregolare che denuncia: “Nelle ipotesi di
particolare sfruttamento lavorativo (…) è rilasciato dal questore, su proposta
o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica, allo straniero che
abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei
confronti del datore di lavoro, un permesso di soggiorno”.
Ma…..
Nonostante le premesse positive, la nuova norma
non sembra produrre gli effetti sperati. La 109 fa preciso riferimento agli
indici di sfruttamento previsti dal 603/bis sopracitato, anche se la dizione
“particolare sfruttamento lavorativo” apre una breccia in favore degli avvocati
della difesa, ben felici di poter disquisire a lungo sul “quanto” è necessario
per poter configurare la condizione di “particolare sfruttamento”. Inoltre le
tutele previste dalla 109 sono applicabili solo nel caso in cui ad essere
denunciato è il datore di lavoro (reo di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina), e non valgono nel caso di denuncia ai caporali (imputabili per
intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), spesso e volentieri i soli
soggetti con cui il migrante entra in contatto e di cui è in grado di fornire
una descrizione. In altri termini, le norme fin qui considerate non sono
comunicanti: c’è una legge anti-caporali che non prevede però la concessione di
protezione agli irregolari, e una legge che tutela i sans papier sfruttati e li
incentiva a denunciare, non permettendo però loro di chiamare in causa soggetti
terzi, e cioè il loro unico riferimento sul territorio. Un bel pasticcio.
Il caso
Stornarella.
Un caso eclatante, che rimanda alla necessità
di una legislazione stringente per combattere lo sfruttamento nei campi e
tutelare gli irregolari, riguarda i migranti vessati a Stornarella, nel
Foggiano, e sostenuti dall’Oim e dal Csa Ex Canapificio di Caserta, che li
hanno aiutati a presentare denuncia alla procura di Santa Maria Capua Vetere
nel tentativo di ottenere un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 18
del Testo unico sull’immigrazione.
La vicenda risale al giugno 2011. Un gruppo di
africani in fuga dalla Puglia si rivolge allo sportello del centro sociale
casertano, una delle poche organizzazioni che conoscono e di cui si fidano.
Steven accompagna la moglie incinta e il figlio, con loro quattro amici che
sono anche coinquilini e colleghi nei campi. Scappano perché dicono di temere
una reazione del padrone e dei carabinieri, che li avrebbero minacciati alla
notizia di un’imminente manifestazione di protesta.
In 45 sono da sei mesi senza stipendio, tra
questi molti irregolari. Ogni dieci braccianti col documento ce ne sono
altrettanti senza, così da poter gestire eventuali controlli. In caso di
necessità, c’è chi eredita l’identità e il contratto degli stranieri regolari
andati via. Per tutti orari e condizioni di lavoro durissime, paghe da fame,
alloggi fatiscenti, maltrattamenti e minacce di violenza. Esasperati, i
migranti sono pronti a una protesta pubblica, non è la prima che organizzano, e
lo comunicano al padrone. Per tutta risposta, i carabinieri piombano in casa di
Steven, intimano agli africani di astenersi dalle rivendicazioni, alludono a
possibili ripercussioni. Ad avvertire le forze dell’ordine non può che essere
stato il loro padrone. La paura è tanta, non c’è un’autorità a cui rivolgersi,
scatta la fuga.
Dopo il gruppo di Steven arrivano in Campania
altri braccianti, vogliono denunciare i fatti. In 17 si rivolgeranno alla
procura, con il supporto degli attivisti dell’ex Canapificio e dell’Oim. Si
scopre un ulteriore inganno: nei contratti stipulati dagli africani figura il
nome di un’azienda che non è quella del loro effettivo padrone, che si dice non
responsabile del mancato pagamento dei compensi.
Men at
work.
Un caporale burkinabè e tre italiani arrestati,
un altro indagato, due aziende e altrettanti mezzi sotto sequestro per un
valore di 500mila euro, un’organizzazione per oliata per sfruttare un gruppo di
dieci migranti, di cui 4 irregolari, e sfiancarli nella raccolta degli agrumi a
Rosarno. È il bilancio dell’inchiesta “Men at work” della procura di Palmi
scattata l’11 maggio 2013, la prima
indagine autonoma (cioè non originata dalle denunce dei migranti) basata sulla legge anti-caporali introdotta
nel 2011.
Il produttore vendeva gli agrumi ancora
sull’albero a una coop, che si rivolgeva ai caporali per organizzare la
raccolta. E i kapò ammassavano i braccianti sui furgoni a cui avevano levato
anche i sedili, li pagavano pochi euro per riempire camion di arance e
mandarini, imponevano la tassa sul trasporto che altro non è se non una
tangente sul loro lavoro, li minacciavano in caso di proteste. Tutto alla luce
del sole: i braccianti venivano addirittura prelevati di fronte alla Tendopoli
governativa che ospita la gran parte degli stranieri che risiedono nell’area.
Tutto come prima della rivolta del 2010.
L’inchiesta conferma il persistere dello
sfruttamento nelle campagne della Piana di Rosarno, tutt’altro che scemato
nonostante i riflettori accesi da tempo sulla realtà calabrese. I caporali e i
padroni caduti nella rete delle indagini non sono gli unici presenti sul
territorio, ma quelli su cui si è riusciti a ottenere le prove necessarie al
loro arresto. Decisive come sempre le testimonianze
dei migranti sfruttati: non sono state le loro denunce a far scattare le
indagini, ma una volta interrogati sui fatti hanno prontamente collaborato.
L’ennesimo segno di civiltà. Ma anche la testimonianza dell’importanza dell’iniziativa della magistratura: è molto difficile infatti che
siano gli stranieri a compiere il primo passo.
Il procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo ha
paventato l’ipotesi di concedere agli africani irregolari coinvolti nelle
indagini un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Nell’inchiesta non
si fa riferimento al decreto legislativo 109/2012: un sintomo della
problematica applicazione della normativa.
I
controlli fantasma.
La difficoltà nell’applicazione delle norme ha
a che fare con la complessa realtà delle campagne e dei cantieri italiani. A
volte è lo stesso datore di lavoro a intercettare la manodopera nelle piazze
delle braccia, e in tali casi si ha lo sfruttamento ma non l’organizzazione e
la sistematicità. Più in generale, la realtà è che ci sono interi settori di
produzione, da quello agricolo a quello edilizio, che si servono della
disperazione e vulnerabilità degli immigrati presenti sul territorio per
minimizzare le spese ed essere competitivi. Di fatto, dunque, è un circuito
fatto di privati che gestiscono varie forme di attività, senza una vera e
propria pianificata organizzazione dello sfruttamento, ma che comunque costituiscono
questo sistema di sfruttamento. Documentare tali situazioni non è cosa
semplice, e in effetti nessuno ci prova. Neanche chi dovrebbe farlo per
mestiere.
Sarebbe un grave errore gettare la croce
addosso agli ispettori e ai funzionari demandati ai controlli nei luoghi di
lavoro. Ma sono stati proprio loro a lanciare l’allarme nel corso dei lavori
dell’annuale “Forum sulle attività di vigilanza” a cura dell’Aniv,
l’associazione professionale che raccoglie ispettori dell’Inps, dell’Inail e
del Ministero del Lavoro.
Su tutto emerge la pratica dei falsi braccianti resa possibile dalle
falle di un sistema che eroga
prestazioni in rapporto di 20 a 1 rispetto alle contribuzioni, consentendo
al lavoratore fittizio di pagare da sé la quota per ottenere la ben più lauta
indennità di disoccupazione, e in prospettiva la pensione, e all’azienda
compiacente di far figurare dei lavoratori in organico (qualcuno deve pur
risultare a libro paga per non destare sospetti). Il tutto si regge ovviamente
sulla presenza di manodopera straniera irregolare sottopagata e senza diritti.
Un vero e proprio esercito di falsi braccianti – sono circa 70mila i rapporti di lavoro fittizi
annullati ogni anno dall’Inps – per quella che è una truffa colossale: nel
triennio 2009/2011 sono state recuperate prestazioni
erogate a fronte di lavoro agricolo fittizio per 700 milioni di euro.
Uno schema che si va estendendo ad altri
settori lavorativi. E non è casuale: l’azione di verifica è affidata a circa 5mila ispettori, che devono coprire
quasi mille aziende a testa.
Semplicemente impossibile.
action diritti in movimento
Articolo molto interessante, grazie mille all'autore !
RispondiEliminaUna sola domanda : qual è la fonte dell'informazione riguardante i 70mila rapporti di lavoro fittizi annullati dall'INPS (fine dell'articolo) ? Grazie in anticipo per la risposta
Romain
ciao, grazie molte per l'apprezzamento... allora come indicato nell'articolo, il dato relativo ai rapporti fittizi annullati dall'Inps è emerso 'nel corso dei lavori dell’annuale “Forum sulle attività di vigilanza” a cura dell’Aniv, l’associazione professionale che raccoglie ispettori dell’Inps, dell’Inail e del Ministero del Lavoro', e ripreso da alcuni organi di stampa.
RispondiEliminagrazie ancora
a.m.