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October 22, 2012
Piccole storie ignobili
Settecento euro. È la somma che a
Sabaudia, in provincia di Latina, uno dei tanti “padroni” ha chiesto ad
un migrante sikh, suo dipendente, per aiutarlo ad ottenere il documento
di riconoscimento. Settecento euro è il salario mensile di quel
ragazzo.
È difficile commentare una notizia come questa. Non si può
non restare sconvolti e disgustati da questo genere di comportamenti che
purtroppo si ripetono spesso in un territorio dove l’arroganza dei
“padroni” si associa alla latitanza delle istituzioni, indifferenti e
quindi complici, e alla responsabilità di una cittadinanza che riconosce
il problema ma che pare disinteressata e pigra.
Questa triste storia non costituisce un fatto privato o solo
episodico tra il bracciante sikh e il suo datore di lavoro. È, invece,
l’ennesima vicenda che colpisce la parte più debole della società
italiana, ossia i migranti, con una sfacciata prepotenza che lascia
attoniti e feriti. Nelle campagne pontine si verificano sistematicamente
episodi di grande violenza nei riguardi dei braccianti indiani. Alcuni
vengono derubati nel giorno di paga del salario mensile, altri picchiati
per divertimento, altri ancora provocati da ragazzi con lanci di sassi
mentre tornano o si recano in biciletta al lavoro. Un ragazzo sikh di
trent’anni è stato selvaggiamente picchiato e quindi licenziato dal
“padrone”: aveva chiesto un contratto regolare e gli arretrati.
Rivendicare i propri diritti quando hai la pelle scura, parli un
italiano stentato e sei un bracciante magari con il turbante, in
provincia di Latina, può essere assai pericoloso. Lo sanno bene le
decine di braccianti migranti che ogni mattina si intravedono dai
finestrini sporchi di terra e polvere dentro furgoni bianchi, diretti
versi i campi agricoli pontini. Ognuno di loro ha una storia da
raccontare e un pezzo di Italia da farci scoprire.
Quando il “pollo indiano” è, invece, facile da spennare,
allora la violenza non è necessaria. Basta giocare sull’equivoco, sulla
mancata conoscenza della lingua italiana e sul barocco funzionamento
della burocrazia nostrana e l’affare si chiude con facilità. Senza tanti
scrupoli e in pochi minuti si possono “intascare” discrete somme di
denaro, evitando di correre rischi, sapendo di poter contare sul
silenzio del truffato. Un gioco da ragazzi insomma, o da gente furba,
come dichiara un “padrone”, vantandosi di avere come braccianti solo
indiani impiegati senza regolare contratto di lavoro insieme a qualche
ragazza rumena. Controlli sporadici, segregazione culturale e sociale e
salari che arrivano a circa 800 euro al mese per quattordici ore di
lavoro quotidiano, per un totale di circa ventisei giornate lavorative: è
questa la catena del potere criminale e padronale da spezzare.
L’indiano derubato dei suoi 700 euro è un sikh ortodosso, di
quelli che indossano il turbante, il pugnale e tutti i simboli sacri
che la sua religione prevede. È un giovane di trent’anni ed è in Italia
da soli cinque. La sua paga, ancora oggi che ha cambiato datore di
lavoro, è di circa 950 euro al mese, ma finalmente è in regola. Il
nuovo “padrone” è per lui sempre bravo, anche quando non gli paga
tutte le ore che ha lavorato o ritarda il pagamento del salario di
qualche mese. Ora sta cercando moglie in Punjab e mentre racconta
sottovoce la truffa subita, abbassa gli occhi e qualche volta sorride,
forse per alleviare il dolore non solo per il furto ma anche per la
fiducia tradita da quel “padrone italiano” che considerava “bravo”.
Questa storia è stata raccontata, quasi per caso e con
discrezione, dal suo protagonista, con la pacatezza che è tipica dei
sikh. La reazione è stata di incredulità. Ma sarà davvero accaduto?
Forse è un’esagerazione dovuta alla scarsa conoscenza dell’italiano.
Approfondendo, cercando riscontri, ascoltando i racconti di altri sikh,
ci siamo resi conto che è tutto vero e che la realtà purtroppo supera la
fantasia.
Quanto accaduto non è semplicemente un furto. È un atto
infame e crudele che evidenzia una povertà etica e morale che lascia
sbigottiti, il coma etico che ottenebra il paese e che nasconde le sue
vere povertà, a partire dallo smarrimento del senso del dovere e della
giustizia. Casi di ordinaria immoralità che devono essere raccontati
perchè nessuno si senta esente da colpe e responsabilità. Intanto,
domani è un altro giorno e quel pulmino bianco sporco di terra e polvere
è ancora lì che attende il suo prossimo carico di braccia e di
stanchezza da portare nei campi.
Marco Omizzolo
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