lunedì 11 marzo 2013

Parola d’ordine: sbarazzarsi del rifugiato

di Fulvio Vassallo Paleologo


Dopo l’Ordinanza di Protezione civile n. 33 del 28 dicembre 2012, adottata soltanto a pochi giorni dallo scadere del termine di accoglienza fissato per il 31 dicembre, il Ministero dell’Interno ha proseguito ad emanare circolari su circolari, tra queste quella del 18 febbraio 2013 relativa alla chiusura dell’”Emergenza Nord Africa” (Ena), con la quale si dovrebbe regolare il passaggio di competenze dalla Protezione Civile al Ministero dell’Interno, alle prefetture ed ai Comuni. Una circolare che ha seminato panico e disperazione in tutta Italia tra migliaia di persone che apprendevano che sarebbero state messe sulla strada dopo pochi giorni, dopo mesi e mesi di attesa, senza avere ancora ottenuto il rilascio dei documenti di soggiorno e di viaggio da parte delle questure.
Questa circolare prevede come struttura di coordinamento a livello locale i “Tavoli di coordinamento regionale”, dei quali non è nota in questo momento l’esistenza e l’efficacia in merito alla programmazione ed alla gestione della presenza degli immigrati Ena sul territorio nazionale. Nulla viene aggiunto su come rendere più veloci le pratiche che riguardano i profughi (documenti di soggiorno o per la procedura di asilo), su coloro che non hanno ancora sostenuto l’audizione o sono in attesa di una decisione. La stessa circolare, di fronte al frequente diniego del titolo di viaggio da parte di diverse questure ai titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari, delimita i poteri discrezionali fin qui esercitati nel rilascio di questo documento fondamentale per i titolari di uno status di protezione, ma non garantisce i tempi e comunque affida alle stesse questure «la verifica della posizione del singolo straniero», malgrado sia già intervenuta una decisione favorevole della Commissione territoriale. La circolare del 18 febbraio ribadisce poi per i minori stranieri non accompagnati le previsioni contenute nella Direttiva sui minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, adottata il 7 dicembre 2006 dal Ministero dell’Interno d’intesa con il Ministro della Giustizia. Una Direttiva che non è stata mai pienamente attuata su tutto il territorio nazionale. Ma l’aspetto più negativo della circolare è avere previsto, oltre al solito richiamo al rimpatrio volontario e assistito, una «misura di uscita» di 500 euro da assegnare a ciascun migrante che sarà estromesso dal sistema di protezione gestito fin qui dalla protezione civile, a seguito della chiusura delle strutture fissata appunto con la fine dell’“Emergenza Nord Africa” per il 28 febbraio 2013.
Una somma che appare ben poca cosa e che non potrà certo risarcire i danni, anche non patrimoniali, subiti dai migranti in questo lungo periodo di stallo nei centri di accoglienza italiani, magari mentre perdevano i contatti con i famigliari rimasti in Libia o in altri paesi di transito, senza che le competenti autorità rilasciassero loro i documenti di soggiorno ed i titoli di viaggio ai quali avrebbero avuto diritto di accedere. Una somma che si sta prestando ad ulteriori ricatti, o ad altre promesse non mantenute, come il pocket money o i tirocini formativi che avrebbero dovuto essere forniti durante il periodo di accoglienza.
Risulta che, in alcune strutture, agli immigrati che percepiscono i 500 euro viene fatta firmare una dichiarazione con la quale rinunciano ad ogni altro diritto nei confronti dello stato italiano, mentre in altre località le prefetture e gli enti gestori stanno ancora aspettando l’accreditamento di queste somme. La misura amministrativa risulta poi discriminatoria nei confronti di tutti quei rifugiati o titolari di protezione che sono già usciti dal sistema senza percepire alcunché, o che sono stati accolti nel sistema degli Sprar (Servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati), dove adesso potrebbero avanzare la medesima pretesa. Da questo punto di vista, potrebbero applicarsi gli Artt. 43 e 44 del Testo unico sull’immigrazione che precedono la possibilità di agire in sede civile contro la discriminazione indiretta, anche se di matrice istituzionale.
Appare sempre più evidente come le autorità italiane, ai più diversi livelli, si vogliano sbarazzare del maggior numero di migranti, ad ogni costo e con qualunque mezzo, anche se sono portatori di istanze di protezione o se si tratta di minori o di altri soggetti vulnerabili. La presenza dei profughi dalla Libia viene avvertita come un accidente temporaneo da superare al più presto, a costo zero, per lo stato, magari trasferendo tutti gli oneri sugli enti locali. Le misure annunciate vengono legate a continui censimenti richiesti alle prefetture, e nel frattempo i titolari del diritto all’accoglienza rischiano di restare in un completo stato di abbandono. Una conferma viene anche dalla circolare del Ministero dell’Interno che il 1 marzo scorso ha ulteriormente prorogato sine die le misure di accoglienza, «per coloro che sono ancora in attesa di essere sentiti dalle Commissioni territoriali e quelli in attesa dell’esito del ricorso, nonché per quelli in attesa di ricevere il permesso di soggiorno e/o il titolo di viaggio» dalle questure.
Malgrado il richiamo ai minori stranieri non accompagnati, per i quali si annuncia soltanto l’invio di un’ennesima nota ministeriale rivolta ai comuni, sui quali si vorrebbe scaricare tutto il peso economico dell’accoglienza, non si garantisce alcuna risorsa aggiuntiva per un piano nazionale di accoglienza che allo stato manca del tutto. E per le cd. «categorie vulnerabili», come famiglie con minori, genitori singoli con figli minori e vittime di tortura, il riferimento all’accoglienza nel sistema degli Sprar rimane del tutto generico, anche per l’esigua disponibilità di posti, e l’accreditamento delle risorse non è certo nei tempi e nella consistenza effettiva. Una politica basata su proroghe in extremis, che semina disperazione tra i migranti e devastante anche per l’effetto che sta producendo sull’opinione pubblica, sempre più propensa alla xenofobia ed al pregiudizio razziale, come appare evidente dalla quantità di fango e dalle violenze verbali (almeno per ora) che si scagliano nella Rete contro i richiedenti asilo, i rifugiati e chi li sostiene.
Una politica che sta continuando a mietere vittime, come il giovane profugo eritreo che, dopo aver attraversato il Canale di Sicilia, ha trascorso mesi e mesi a Crotone in attesa del riconoscimento di uno status di protezione. Una volta messo alla porta con quel permesso di soggiorno tanto atteso, come sta avvenendo in questi giorni con tanti altri ragazzi giunti in Italia durante l’Emergenza Nord Africa, si è suicidato trovandosi in una condizione di totale abbandono, in un casolare a Isola Capo Rizzuto (KR), vicino a quel centro di accoglienza che aveva spento la sua speranza di futuro. Una persona che le istituzioni avrebbero dovuto seguire nel suo percorso di integrazione e che invece è stato subito classificato da qualcuno come un «senza fissa dimora», una condizione che in molti comuni italiani sta sancendo l’esclusione sociale di tanti migranti che hanno ricevuto i documenti di soggiorno, ma hanno visto cessare all’improvviso qualunque misura di accoglienza e di integrazione. E che adesso sono costretti ad occupare abitazioni diroccate o aree fatiscenti nelle parti più degradate del territorio. Una condanna a vita ad una condizione di clandestinità esistenziale, una condanna che può arrivare a provocare anche un suicidio.
Per la Commissione per i diritti umani del consiglio d’Europa, l’Italia è stata sicuramente inadempiente rispetto agli obblighi di garantire standard minimi di accoglienza ai richiedenti asilo ed ai rifugiati, questo lo confermano adesso i tribunali amministrativi tedeschi che hanno bloccato i trasferimenti verso il nostro paese di richiedenti asilo che erano incappati, dopo essere transitati dall’Italia ed avere presentato un’istanza di protezione in Germania, nelle maglie del Regolamento comunitario Dublino 2. Questi migranti non sono stati riportati in Italia proprio perché i tribunali amministrativi tedeschi hanno accertato che qui non avrebbero goduto degli standard di accoglienza previsti dalle direttive comunitarie 2003/9/Ce e 2004/83/Ce. Non sappiamo come e quando ci sarà un governo in Italia capace di rispettare gli obblighi internazionali di protezione, e lo stato di diritto, nei confronti dei migranti. Riusciranno i giudici e gli avvocati italiani a ripristinare il principio di legalità e a garantire il rispetto delle Direttive comunitarie in materia di accoglienza e protezione dei minori, dei richiedenti asilo e dei rifugiati?

corriereimmigrazione

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