Crescono i lavoratori stranieri in
Italia, ma anche l’incidenza di quelli che un lavoro lo cercano e non lo
trovano. Con ritmi tali da far scattare l’allarme tra le stesse fila
dei tecnici del ministero del Lavoro, che nel Rapporto sull’immigrazione
parlano della disoccupazione tra gli stranieri come di un fenomeno che “assume caratteri decisamente allarmanti,
nella lunga fase di crisi”. Nel dettaglio, lo scorso anno in Italia
hanno avuto un lavoro 2 milioni e 334 mila immigrati. I cittadini
stranieri disoccupati sono stati 385mila. Rispetto al 2011 il numero è aumentato del 19,2% tra coloro che provengono da Paesi dell’Ue e del 25,4% per quelli extra-Ue.
Quanto poi alla retribuzione, i cittadini stranieri impiegati svolgono mansioni meno qualificate e guadagnano meno degli italiani:
la retribuzione netta mensile per gli stranieri è, in media, più bassa e
si attesta a 968 euro contro i 1.304 euro dei lavoratori italiani (-336 euro).
Nel 2008, il 29% dei lavoratori stranieri era impegnato in mansioni
“non qualificate”, percentuale che nel 2012 raggiunge il 34%, mentre si
riducono nettamente le posizioni “qualificate” che passano dall’8,2% del
2008 al 5,9% del 2012. La crescita della domanda, quindi, sembra condizionata e circoscritta a mansioni sempre più “povere”
e comunque concentrata su poche professioni: le assistenti domiciliari e
le collaboratrici domestiche rappresentano più della metà delle
occupate straniere e risultano sovra istruiti il 41% dei lavoratori
stranieri. Per quel che riguarda l’integrazione dei
cittadini stranieri, il grado maggiore di attrattività (basato su
numero di immigrati residenti, loro densità e stabilità) è ancora
detenuto dalla Lombardia, che supera di gran lunga Emilia Romagna,
Veneto, Lazio, Piemonte, Liguria. Tra le province, la massima
attrattività spetta a Brescia che, rispetto al 2009, sorpassa Prato,
dovuto “al fatto che molti cinesi stanno effettivamente abbandonando
l’area pratese, nella quale da tempo si erano stabiliti numerosi per
impiantarvi le proprie attività imprenditoriali, spostandosi in altre
zone del Paese”. Il Rapporto attesta tuttavia che la regione a più alto potenziale di integrazione degli immigrati è oggi il Piemonte
(nel 2009 era il Friuli Venezia Giulia). Seguono: Emilia Romagna,
Liguria, Friuli, Abruzzo, Marche. Ultime: Puglia e Calabria. Tra le
province, in testa ci sono Macerata, Mantova, Imperia e Pistoia. Ultime:
Crotone, Ragusa e Foggia. In generale, le condizioni sono più facili
nei piccoli centri: “Le condizioni di inserimento
sociale e occupazionale degli immigrati, che determinano il potenziale
di integrazione di un territorio – si legge nel Rapporto Cnel – sono
migliori in contesti più ristretti e a bassa complessità sociale, ovvero
in territori che non fanno capo ad aree urbane particolarmente estese o
a realtà metropolitane”. Si nota inoltre come tutto il Nord Est – ad
eccezione dell’Emilia Romagna – ha conosciuto in due anni una notevole
contrazione del proprio potenziale di integrazione. Un esempio: il
Veneto passa dal quarto al tredicesimo posto nella classifica generale.
Non solo. Rispetto al 2009, il Rapporto denuncia come “in Italia
le condizioni di inserimento sociale e lavorativo degli immigrati
(come, del resto, degli italiani) hanno conosciuto un generale e diffuso
peggioramento“.
fonte:repubblica.it
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