L’art. 5, comma 5, del testo unico immigrazione, prevede che
nell’adottare il provvedimento di rifiuto, revoca o diniego di rinnovo
del permesso di soggiorno “dello straniero che ha esercitato il diritto
al ricongiungimento familiare, ovvero del familiare ricongiunto” si
tiene conto anche della natura e dell’effettività dei vincoli familiari
dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il
suo Paese di origine, nonché della durata del suo soggiorno nel
territorio italiano. In tal modo, gli stranieri che sono presenti in
Italia in virtù di un provvedimento di ricongiungimento familiare
possono godere di una tutela rafforzata, che li pone al riparo
dall’applicazione automatica di misure capaci di compromettere la loro
permanenza nel territorio, in caso di condanna per i reati indicati
dall’art. 4, comma 3, del testo unico immigrazione.
Tale tutela rafforzata, che impone all’amministrazione di valutare in
concreto la situazione dell’interessato, tenendo conto tanto della sua
pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico, quanto della durata
del suo soggiorno e dei suoi legami familiari e sociali, non si estende –
secondo quanto disposto dall’art. 5, comma 5 – nei confronti di coloro
che, pur trovandosi nelle condizioni sostanziali per ottenere il
ricongiungimento familiare, non hanno fatto richiesta del relativo
provvedimento formale e, dunque, non hanno “esercitato il diritto al
ricongiungimento familiare” ai sensi della disposizione impugnata. Nei
loro confronti, pertanto, si dovrebbe applicare un automatismo, che
impone alla pubblica autorità di procedere senz’altro al rifiuto del
rilascio, alla revoca o al diniego del rinnovo del permesso di
soggiorno, qualora i richiedenti risultino condannati, con sentenza
anche non definitiva, per i reati previsti dall’art. 4, comma 3.
In realtà negli ultimi tempi il Consiglio di Stato ha più volte
applicato la tutela rafforzata contro l’allontanamento anche a soggetti
privi dei requisiti formali, in forza di una interpretazione ritenuta
conforme all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tuttavia, il Tar Veneto ha ritenuto che l’operazione compiuta dal
Consiglio di Stato equivale ad una sostanziale disapplicazione delle
norme interne, operazione da considerare preclusa dalla giurisprudenza
costituzionale interna in materia di rapporti con la CEDU.
Da qui il ricorso alla Corte costituzionale che ha concluso l’esame della norma con un giudizio di incostituzionalità. Secondo la Corte, la tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla
Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del
permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba
fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta e attuale dello straniero
condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato
automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per
determinati reati. Nell’ambito delle relazioni interpersonali, infatti,
ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi
anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo
familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave
perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a presunzioni di
pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi
procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della
situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari. Per questi motivi – conclude la Corte – la disposizione di cui all’art.
5, comma 5, del testo unico contrasta sia con gli artt. 2, 3, 29, 30 e
31 Cost. nella parte in cui non estende la tutela rafforzata ivi
prevista a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami
familiari, sia con l’art. 8 della CEDU, come applicato dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo.
fonte: immigrazioneoggi
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